E i cannoni sparano cultura

E jxannoni sparano cultura il caso. Un singolare scambio fra Usa e Europa: lo rivela un Annuario E jxannoni sparano cultura Compra le mie armi, finanzio i tuoi studi 11 W tIENDI armi e in cambio compri cultura. Sembra assurdo, improponibile a fil di logica, eppure fa parte della realtà da oltre 40 anni: è il trucco contabile che dal lontano 1949 ha consentito di finanziare il programma di scambi di studio fra Italia e Stati Uniti. Semplice ma geniale, l'idea porta la firma di William Fulbright, allora oscuro senatore dell'Arkansas, che ebbe questa pensata quando aai dossier del Congresso di Washington stava per emergere una grana colossale: che cosa fare del surplus di residuati bellici rimasti ammassati sul Vecchio Continente dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Riportarli in patria, negli Stati Uniti, sarebbe costato carissimo. Meglio un bizzarro disegno di legge: alienarli sul posto e con il ricavato creare il fondo destinato a coprire le spese della trasferta oltreatlantico di migliaia di cervelli per un periodo di approfondimento presso istituti accademici statunitensi. Via quindi cannoni, carri armati, munizioni, navi e aerei, rifilati agli arsenali dei Paesi Nato; al loro posto una bella dotazione in milioni di dollari. Denaro certo riciclato però a fin di bene, moneta purgata dal vizio d'origine di cui hanno beneficiato, alcuni forse inconsapevolmente, quasi cinquemila borsisti italiani. A scorrere il «Chi è» dell'Annuario pubblicato in questi giorni dalli1 Commissione culturale italo-americana non mancano le sorprese. Accanto a nomi meno celebri spuntano personaggi di rilievo in svariati settori della vita nazionale: come Massimo Bogianckino, ora Sovrintendente al Teatro Comunale di Firenze, che nel 1950 entrò nel terzetto dei pionieri Fulbright insieme con Virginio Rognoni, professore di fresca nomina all'Università di Pavia e giovane militante doc democristiano, e con l'attuale presidente dell'Acca- demia dei Lincei Giorgio Salvini. «La sorte volle che fossimo i primi a partire - ricorda il Maestro -. Era per tutti noi un salto nel buio verso un mondo nuovo che desideravamo conoscere. A me capitò di andare al College of Fine Arts di Pittsburg, in Pennsylvania. Un'esperienza indimenticabile, assolutamente positiva, anche se l'impatto con una cultura così diversa, con gente di gusti e interessi assai svariati rispetto ai nostri comportava qualche strappo traumatico». Ad esempio vivere presso una famiglia americana: pochi libri in casa ma tanti elettrodomestici avveniristici. Oppure rimpiangere l'Italia lontana in compagnia di connazionali emigrati che ormai del luogo natio non sapevano nulla. Tipo: «Avete anche voi i frigoriferi, e ad automobili come state, una o due a testa?». Nel corso degli anni altri futuri vip vennero prescelti nel quadro del programma di scambio (che portò in Italia ol¬ tre seimila studiosi americani). Fra gli altri, andarono negli Stati Uniti il critico dell'arte Federico Zeri (alla Harvard University), il ministro del Lavoro Gino Giughi (a Madison nel Wisconsin), il ministro della Funzione Pubblica Sabino Cassese (alla Stanford californiana), il regista Luigi Squarzina (alla Yale University), lo scrittore Roberto Gervaso (a Ann Arbor nel Michigan), il giurista Stefano Rodotà, l'economista Siro Lombardini, il presidente della Camera di Commercio di Milano Piero Bassetti. Persone scelte attraverso una rigorosa selezione dei meriti di studio, ma con uno spartiacque assai preciso: banditi dal concorso i candidati eccellenti se in odore di comunismo, discriminante da caccia alle streghe che cadrà solo in parte con il crollo del Muro di Berlino. Tra i prescelti figura pure il magistrato Vladimiro Zagrebelsky, inviato nel 1975 all'International Law Center di DalI las. «Una città invivibile, con e senza i texani, che comunque mi ha permesso di riportare indietro un prezioso bagaglio di conoscenze costituzionali e professionali - dice Zagrebelsky -. E poi si è rivelato utilissimo il contatto diretto con studiosi stranieri, cosa che qui capita di rado». «E' stata una scoperta - afferma Carlo Chiarenza, direttore della Commissione culturale italo-americana -, un confronto e un dialogo dagli enormi effetti moltiplicatori, dai quali scaturisce un rapporto di collaborazione continuata». Tristemente però l'Italia ufficiale si è spesso dimostrata ingrata, l'unica purtroppo fra le nazioni interessate all'interscambio. Dagli States venne chiesto di contribuire con qualche liretta per mantenere in vita il programma, ma Roma per dieci anni non scucì un soldo, con la sola eccezione dell'Iri. Il poverissimo Bangladesh, invece, fu pronto a tassarsi. Piero de Garzarolli Grazie ai proventi cinquemila italiani hanno potuto studiare oltreoceano Fra i borsisti Rodotà, Squarzina Giugni, Bogianckino, Cassese te: «US»; Sotto Massimo Bogianckino Qui a fianco il ministro del Lavoro Gino Giugni, a sinistra il ministro della Funzione pubblica Sabino Cassese