KUREISHI il mio Buddha di periferia

Intervista con lo scrittore anglo-pakistano che racconta i drammi dell'immigrazione asiatica à Londra Intervista con lo scrittore anglo-pakistano che racconta i drammi dell'immigrazione asiatica à Londra il mio Buddha di periferia ■t LONDRA « ON vuole fare il SiddharB ta degli asiatici, non cer- I ca l'idillio nei sobborghi II londinesi irruviditi dalle tensioni razziali. Hanif Kureishi preferisce appartenere a una bohème urbana scontrosa e giovane, per la quale scrivere non è un modo di far carriera, ma un modo di essere scontenti. Fustigatore dell'egoismo thatcherista, celebra la poesia delle lavanderie automatiche e la fame sessuale degli adolescenti di borgata. Denuncia il caos dei rapporti personali in un'Inghilterra dalle emozioni insulari, indifferente alle difficoltà degli immigrati pakistani. Testone arruffato e marsupio contenente il figlio di tre mesi allacciato sulla pancia, Kureishi mi accoglie con sciatteria da studente nella sua casa di West Kensington. Ai piedi della scala che porta in cucina giace, unico trofeo esibito come per sbaglio, un manifesto di My Beautiful Laundrette, il filmculto di cui Hanif ha scritto !a sceneggiatura; in Italia Anabasi la pubblicherà per la prima volta tra un mese. Uscita nell'85, è la storia di un pakistano gay che con l'amante gestisce una lavanderia nella metropoli squassata dalle gang bianche. Quel copione valse a Kureishi una nomination per l'Oscar; e il regista Stephen Frears (che di Hanif ha diretto anche Sammy e Rosie vanno a letto, tetro ritratto della società conservatrice) ne ha fatto l'esemplare di cinema inglese più acclamato degli Anni Ottanta. Le lavanderie londinesi hanno talora amareggiato lo scrittore: una volta fu cacciato da una commessa che non voleva toccare «i vestiti degli stranieri». David Bowie è il menestrello lussuoso del suo romanzo II Buddha delle periferie edito da Mondadori: è appena uscita in tutto il mondo la colonna sonora composta per l'adattamento televisivo della Bbc. L'ex Ziggy Stardust ha in comune con Kureishi le radici nella Londra meridionale. Una sera si è portato a cena lo scrittore trentottenne e gli ha parlato di Anni Settanta, droga e musica. Il libro narra la promiscua educazione sentimentale dell'adolescente Karim, figlio di padre pakistano e madre inglese come Hanif, spiantato, ignorante e voglioso di fare l'artista, sullo sfondo di un'Inghilterra appena uscita dall'era dei Beatles e percorsa dalle marce neofasciste del National Front. Nella prefazione a «My Beautiful Laundrette» lei ringrazia Salman Rushdie. In che cosa l'ha aiutata? «Era, ed è tuttora, un mio caro amico. Mi ha sempre molto sostenuto, come un fratello maggiore. E' stato lui a incoraggiarmi a scrivere un romanzo. "E' una forma che ti si addice", mi ripeteva. Ho sempre ammirato le sue posizioni sul razzismo». La sua è una sceneggiatura scritta con la polvere del Pakistan nelle narici. Crede che la letteratura degli immigrati sia quella vincente? «E' entusiasmante pensarlo: le storie degli immigrati non sono ancora state raccontate. La gente vuole conoscerle perché ci dicono molto sulla nostra società, non soltanto sui caratteri dei personaggi. Non ci sono letterature vincenti o perdenti. Ma quella dell'immigrazione è sicuramente importante. Qui lavorano Naipaul, Ishiguro, Rushdie; in Francia, Jelloun». Karim, protagonista del «Buddha», dice: «Siamo parte dell'Inghilterra, eppure ne restiamo orgogliosamente fuori». Anche lei prova questo risentimento? «No, ma le cose sarebbero potute andare diversamente. Ho avuto molto successo in questo Paese; in Pakistan non avrei potuto neppure fare il mestiere dello scrittore. Ma molta gente qui continua a essere vittima di abusi razziali e pregiudizi ed è inasprita, arrabbiata. E la rabbia ha da essere politicamente indirizzata». La tolleranza è il valore inglese più sbandierato, ma viene applicata ai neri? «La Gran Bretagna probabil¬ mente è un Paese piuttosto tollerante; ma non è tanto tollerante quanto potrebbe essere. Ha fatto fatica ad abituarsi alla perdita dell'impero, a vedere se stessa, dopo l'arrivo degli immigrati dalle colonie, come una società multirazziale. Ma la tolleranza non è più una virtù: è una necessità, in un'Europa dalle molte culture. Guardi questo bambino: è indiano per un quarto. Forse i suoi figli saranno indiani e caribici, o chissà: tutte queste mescolanze sono interessanti, fanno bene a noi e al nostro Paese». Auspica un'arte impegnata nella lotta al razzismo? «Dipende dal temperamento degli artisti. Ma non mi piace più la letteratura didattica, propagandistica: la rifiuto, è superficiale. Cerco di usare sempre l'ironia, che è un ottimo modo di rendere la complessità umana. Il mondo è buffo, persino quando è razzista». Dunque gli scrittori di colore non hanno alcuno speciale dovere di parlare di problemi razziali. «Non hanno più doveri di quanti ne avesse Calvino. A me però sembra importante conciliare questi problemi, così centrali nel nostro futuro, con l'essere artista». Lei dice che la nozione di patria non le viene facilmente. «Me lo ripetevano sempre quando ero piccolo: da dove vieni?, non appartieni a questo Paese. E ci ho messo un sacco di tempo a rendermi conto che sono inglese, o quasi. Meglio: sono britannico. Ma molti giovani asiatici sentono di non essere di casa, voluti o rispettati qui. Alcuni, non potendo essere né inglesi né pakistani, cercano un'identità nell'islamismo: è una constatazione che faccio con tutto l'odio che porto al fondamentalismo. Ho un bel po' di critiche da fare all'Inghilterra, ma i valori occidentali della libertà e della tolleranza sono completamente miei». Con «Il Buddha», Bowie ha riscoperto le proprie radici nella Londra delle periferie. Che cosa vi siete detti di questa città? «L'ho incontrato un anno fa e da allora siamo amici. Il libro gli è piaciuto perché gli ha ricordato le periferie & in cui è cresciuto. Mi ha invitato nella sua casa svizzera e mi ha fatto ascoltare i nastri della colonna sonora. E' una persona meravigliosa. Anche lui era molto preso dalla musica che ha avuto tanto significato per me: Elvis Costello, gli Stones, il punk». I Beatles le hanno messo addosso l'vnquietudine. Sono stati loro a instillarle la voglia di un mestiere creativo? «Gli Anni Settanta sono stati i postumi della sbornia dei Sessanta. I Beatles hanno avuto un fantastico effetto su di me quindicenne: erano la musica della liberazione di classe, della liberazione dai genitori e dalla prospettiva di diventare assicuratore in periferia. Sono stati la prima cultura viva. Volevo essere come loro: non solo per fare una vita libera e divertente, ma creativa. Era molto difficile identificarmi con gli scrittori: Graham Greene o Doris Lessing, grandiosi e vecchi. Io volevo essere uno scrittore e i Beatles allo stesso tempo». Quanto ha conservato l'Inghilterra della gioia e della voglia di libertà dei Beatles? «Pochissimo. Sto proprio scrivendo un romanzo su un gruppo di giovani asiatici alla fine degli Anni Ottanta, e lo intitolerò The Black Album, perché l'Inghilterra di oggi è diventata molto più nera di quella dell'Album Bianco dei Beatles. A quel tempo c'era un senso di speranza, apertura e gioia. Oggi l'influenza dei Beatles rimane limitata alla musica. Purtroppo per noi». Maria Chiara Bonazzi «David Bowie ama il mio libro perché gli ricorda i bassifondi in cui è cresciuto» & Lo scrittore Salman Rushdie Nell'immagine grande David Bowie (a destra) e Hanif Kureishi La pop star ha composto la colonna sonora per l'adattamento tv del romanzo «Il Buddha delle periferie» Una scena di «My Beautiful Laundrette» del regista Stephen Frears. Sotto, asiatici tra la folla londinese