BARBATO «ADELPHI PASTICCIA GADDA»

Lettere Lettere BARBATO: «ADELPHI PASTICCIA GADDA» A desini Gianni Vallimi) sotto, Julius Evola DESIDERO segnalare (perché eventualmente se ne discuta) quello che a me sembra un piccolo pasticcio editoriale: innocuo in sé, se non indica un costume. Dunque, una casa editrice prestigiosa, Adelphi, ha l'ottima idea di raccogliere in volume le interviste - molto rare per una serie di ragioni - concesse da Carlo Emilio Gadda, grandissimo e ritroso. Chiede doverosamente il consenso degli autori, ed ecco il volume. Utilissimo e accurato. Però... Accade intanto che il libro rechi la firma di Carlo Emilio Gadda nella forma in cui da sempre si indica l'autore. E' giusto? Non è un sia pur piccolo inganno far credere che quelle pagine siano da attribuire al grande Ingegnere? Un inganno per il lettore, per Gadda stesso, e - se è consentito - per gli autori dell'intervista a più voci. «Interviste» è scritto più sotto, e anche qui ambiguamente, come se fossero interviste fatte da Gadda. Sarebbe stato più giusto non mettere alcun nome in copertina, e segnalare che si tratta di interviste a C. E. Gadda. Ma poi viene il peggio. Perché il libro si snoda in capitoli e capitoli di dialoghi, conversazioni, rilievi critici o biografici, senza che venga citato né l'autore di ogni singola intervista, né la data, né il luogo dove apparve. Solo a pagina 251, dopo prefazioni e note, si informa che quei «pezzi» appartengono a Piccioni, a Cavallari, a Parise, a Garboli, a Stajano, a Arbasino, a Moravia, e così via. E' vero che in quasi tutti i casi (il mio, soprattutto) la distanza fra intervistato e intervistatore è enorme, ma il problema non si sposta di una virgola. Sarebbe stato giusto firmare «Mussolini» le conversazioni di Emil Ludwig? Io ho intervistato Gadda nel 1962 per un grande settimanale, quando di Gadda e di libri nessuno si occupava se non gli specialisti, e raggiungere lo scrittore era difficile, un regalo raro. Cordiali saluti. Difendo Evola Come al solito la verità sta nel mezzo. Certamente Evola ha scritto in pieno periodo anti-semita alcune cose contro gli ebrei, ma non dimentichiamoci, che nel dopoguerra lo stesso autore si oppose alla ristampa di molte sue opere (tra cui soprattutto la anticristiana «Imperialismo pagano») e che, comunque, anche se non le condivido assolutamente, le sue tesi sugli ebrei si distaccano completamente da quelle più marcate e bio-materialistiche di un Rosenberg o, per restare in Italia, di un Interlandi o di un Landra. E d'altronde è lo stesso De Felice che nella sua Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo (scritta in un periodo in cui l'A. non era ancora sospetto di «revisionismo», e che fu recensito favorevolmente dalla stampa ebraica, se ben ricordo dalla Rassegna mensile di Israel) distingue chiaramente le due posizioni, tanto è vero che nel libro si nota che a E vola venne affibbiata, da parte dello stesso Landra, l'etichetta di «melanconico assertore di un nebuloso spiritualismo». Per il resto è inutile nascondere che Evola è ormai entrato dignitosamente nella cultura italiana e non solo in quella di destra (v. Cacciari, v. la presa in considerazione, addirittura da riviste anarco-libertarie, ecc.). Anzi, oggi è forse una parte della destra che vorrebbe seppellirlo per il suo «nichilismo». E infatti in Cavalcare la tigre si prendono in considerazione autori come Kerouac, Hemingway, Miller, Sartre. Nazisti anche costoro? Io che mi considero comunista (e non «post», non lavoro ai telegrafi!) distinguo nettamente l'Evola politico e «razzista», da quello culturale. Nulla di male se le sue opere vengono vendute in tutte le librerie o stampate da un qualsiasi editore (certo settarismo culturale tipico della capitale subalpina deve finire). d Gianfranceschi accusa: «Pochi cattolici, tante baggianate rosse» Vattimo: «Scelte basate sull'attualità»

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