TRA GUERRA E VARIETÀ di Bruno Quaranta

TRA GUERRA E VARIETÀ TRA GUERRA E VARIETÀ La Torino '43 di Randaccio bre. Entrambi di leva, avrebbero corso troppi pericoli nella capitale adriatica, prossimo pilastro orientale della trincea tedesca. Il nonno li affida alla maitresse Clementina (a cui lo lega un filo indecifrabile), attesa nel casino torinese di corso Raffaello dalla sorella, pure lei tenutaria. Figure rassicuranti, probabilmente «sapienti e complici» come «le vecchie nutrici» (così Mario Soldati ricorda le «padrone di casa» di scuola torinese, a suo dire di gran lunga la migliore). Lassù, lungo il Po, ad aspettare i fratelli c'è il notaio Rebaudengo, che li inizierà alla Massoneria. Un mondo polveroso, retorico, macchiettistico, sgangherato, di un esoterismo casareccio. Ma da non sottovalutare se, come profetizza il farmacista morfinomane, al pari di altre associazioni benefiche il pianeta che ruota su grembiuli e compassi è destinato a trasformarsi in «un'associazione a delinquere». No, non valeva la pena «venire a Torino per vedere quattro vecchi rincoglioniti» concludono Mino e Dino. E così si calano nella vita, nella lunga piaga che è (bombe, sfollati, impiccati, fucilati, vendette, tradimenti), una tavolozza color sangue qua e là lenita da un film, una commedia, una partita di calcio. Nelle Finestre buie del '43 si incontra¬ no (un indice dei nomi sarebbe stato prezioso) Renato Rascel in «Pazzo d'amore», Govi (al Carignano) con «Pignasecca e Pignaverde», la soubrette Marisa Marasca in «Risatissima», il derby Torino-Juventus (in campo Loik, Mazzola, Sentimenti IV), 15 luglio '44, sospeso a colpi di mitra dai fascisti, polemici verso l'arbitro, il signor Gay dell'omonimo dancing, i bancarellai Fogola, i chirurghi Biancalana e Dogliotti, i giornalisti (da Pettinato a Bergoglio, dalla «Stampa» al «Guerin sportivo»), il magistrato Peretti Griva, il Rabbino, il cardinal Fossati, i gerarchi, le ausiliarie, i gappisti, i comunisti, i democristiani, i socialisti... Mino e Dino attraversano la guerra, fino alla Liberazione, senza scottarsi, come l'amianto nel fuoco. «Innocenti, ma non sprovveduti, per atavica furbizia», intuiscono, già nel settembre '44, che le forze motrici dell'Italia repubblicana saranno lo scudocrociato e la falce intrecciata con il martello. Di qui la calcolata scelta di aderirvi, ipotecando un dopoguerra all'insegna di un «placido squallore». Esemplari di quell'Italia che non la beve, «furba», di là del bene e del male, che irride agli ideali, una genìa che viene da lontano, e che, purtroppo, andrà lontano. Bruno Quaranta

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