COLLINS nel nido delle Aquile nere di Larry Collins

COLLINS nel nido delle Aquile nere Lo scrittore si confessa, mentre esce la sua ultima spy story: così ho rovistato nei segreti della Cia e dei narcotraficantes COLLINS nel nido delle Aquile nere ELONDRA ARRY Collins è un bel signore alto, i capelli argentati, gli occhiali sul naso, l'aria tranquilla da americano in vacanza: nessuno, incontrandolo tra Saint-Tropez e Ramantuelle, penserebbe di trovarsi di fronte a una talpa. Ma è proprio quell'aspetto da placido pensionato sessantenne, che sverna tra i tepori della Còte, a ingannare. Perché mister Dedalus, fratello separato di Dominique Lapierre, è l'uomo che da sempre rovista nei segreti inconfessabili della Cia, che s'infiltra nella violenta giungla degli informatori della coca Boliviana, che si fa chiamare per telefono dal Noriega guardato a vista nel Miami Correctional Center e che toglie il tappo ai vasi di Pandora dei cartelli di Cali e Medellin. E' così che Larry costruisce i suoi best seller: spiando, scandalizzando, spezzando giochi inconfessabili. Il suo ultimo romanzo, Aquile nere (Mondadori), da oggi in libreria, ne è l'esempio lampante. C'è in aria l'operazione Contras Ronald Reagan, dopo anni di mollezze, vuole spazzare definitivamente i rossi che infestano le Repubbliche del Centro America. Per anni Castro e Mosca hanno infiltrato agenti rivoluzionari nel sistema politico occidentale: è ora di utilizzare gli stessi metodi. Ma come? Da che punto partire? Panama sembra la plancia di lancio ideale. La Cia il nodo operativo giusto. Ma c'è un problema: il dopo Nixon ha spazzato via tutti gli uomini compromessi. Un'ondata di garantismo ha reso imbelle il gioiello di famiglia. Primo passo, dunque: inserire ai suoi vertici un responsabile dalla scorza dura, uno che sappia ridare fiato agli operativi e che pianifichi senza tanti problemi etici il traffico di armi e la controrivoluzione in Nicaragua e in Salvador: Bill Casey. Secondo: costruire sul campo l'agente di collegamento. Il dito punta su un paranoico sergente della sicurezza panamense, Manuel Noriega. Non ha donne perché il suo volto è devastato dall'acne, ha risentimento nei confronti della vita perché, orfano, non ha avuto quello che hanno avuto i suoi coetanei e, cosa fondamentale, è assetato di potere e di denaro. Viene avvicinato e arruolato. Poi seguito, foraggiato, coccolato e spinto verso l'aito, fino alla sedia più importante del Paese. E' l'agente perfetto, la plancia di lancio tanto agognata. Ora l'operazione può incominciare. Ma la Cia non deve comparire in prima pedona: il disastro della Baia dei Porci ha insegnato. Così vengono annoiati mercenari di tutti i tipi: cubani, salvadoregni e yankee dalla fedina penale per lo meno incerta. Lo scopo è rifornire di armi i ribelli, i Contras. E il traffico deve per forza passare per quella sorta di dépendance panamense il cui tenutario è in grado di offrire piste di atterraggio, magazzini segreti e, soprattutto, il totale controllo delle cose. Una organizzazione perfetta, a tenuta stagna: nessun controllo, dogane che chiudono gli occhi, piani di volo coperti, una specie di autostrada senza semafori. Ma con una tara istituzionale: è la feccia del mondo a gestirla. Gente che all'andata porta casse piene di kalashnikov ottenuti da Israele, e che, al ritorno, riempie le stive con la coca di Pablo Escobar e dei fratelli Ochoa, pronubo lo stesso Noriega. La Dea, l'agenzia dell'antidroga americana, se ne accorge, incomincia ad indagare servendosi di infiltrati e si mette subito in conflitto con la Cia. Sull'altare del realismo politico e del segreto di Stato, Bill Casey e il suo uomo, Oliver North, finiscono così con l'immolare un'incredibile quantità di vittime innocenti e a ritardare fino allo stremo il crollo di un dittatore pazzo e sanguinario. Ecco: questa è la trama. Ma è una trama che è storia, per molti versi, ancora segreta. Larry la talpa, in due anni passati in giro per il mondo, ha ricostruito ogni particolare: gli uomini, i fondali, gli ambienti, le tecniche. Collins, lei ha conosciuto tutti. Incominciamo con Bill Casey. «Ero a Langley, nell'86. Cercavo informazioni. A quei tempi esisteva una teoria: il Kgb stava lavo- rando su un sistema elettromagnetico destinato ad alterare gli stati emozionali della gente. Era vero o era solo un'ipotesi fantascientifica?». Ma come, lei va al quartier generale della Cia e incomincia a chiedere? «Beh, in verità stavo solo gironzolando nell'ingresso in attesa che qualcuno mi desse retta, quando mi riconobbe Betty Murphy, la segretaria di Casey. "Ma lei è Larry Collins - mi disse -. Lo sa che il direttore è un suo grande ammiratore? Dedalus gli è piaciuto tantissimo. Sono sicura che vorrà conoscerla. Aspetti"». Fece un telefonata... «E mi trovai al cospetto di William P. Casey. Una bestia d'uomo: grande e grosso più di me. Pesante, occhi azzurri. Un conservatore totale, molto influenzato dalla sua permanenza a Londra durante la seconda guerra mondiale». Noto per il suo linguaggio da facchino. «Nel giro di dieci minuti, parlando di questo o di quello, smoccolò almeno dieci "figlio di puttana" e altrettanti "vaffanculo", inframmezzati da un sacco di pacche sulle spalle e di pugni sulla scrivania. Era felice: lui aveva partecipato a un'operazione coperta ai tempi dello sbarco in Normandia e io in Dedalus raccontavo una storia analoga. Si era ritrovato, in sostanza. Spione fin da piccolo». E le diede un'idea. «Indirettamente. Schiacciò un bottone della scrivania. "Adesso le faccio dare quelle informazioni sul Kgb", disse. E sulla porta comparve un mio vecchio amico, il capo dell'antenna Cia di Amman che avevo conosciuto quando ero cor- rispondente in Medio Oriente. Figuratevi la sorpresa. Baci, abbracci. Poi mi portò nel suo ufficio e mi fece: "Hai visto il New York Times di oggi?". Annuii. "Io non ce l'ho ancora fatta: sono stato su tutta la notte. Mi hanno detto che c'è un lungo articolo su Noriega e la droga. Ci hanno messo di mezzo?"». E quel «ci» le ha fatto accendere una lampadina. «Già. Lui si cucì la bocca e negò tutto. Ma il giorno dopo ho incominciato a sondare alcuni veterani fatti fuori dalla Cia, ho trovato alcuni riscontri e poi ho deciso di chiamare un mio vecchio amico». Un altro? «Sì, l'avevo conosciuto ai tempi della French Connection ed era arrivato a essere il numero due della Dea». Lei sembra conoscere tutti. Ovunque. «Guardi: io mi sono laureato a Yale, ho cominciato a lavorare a Cincinnati per la Procter & Gamble, poi sono entrato nell'esercito e mi hanno sbattuto a Parigi nella Nato. Dopodiché ho fatto il giornalista a Roma e a Beirut per la United Press. Mi sono sposato con Nadia, una bella egizio-americana, e sono nati i bambini: Larry junior che adesso ha 26 anni e Michael più giovane di due. Quindi sono tornato a Parigi come capo della redazione di Neesweek. E lì ho conosciuto Dominique Lapierre che stava a Paris-Match. Come vede ne ho girati di posti, ne ho conosciuta di gente». A proposito di Lapierre: perché vi siete lasciati? Il vostro connubio ha prodotto cose eccezionali: «Parigi brucia», «Gerusalemme, Gerusalemme», «Domani la libertà»... «E' stato dopo il Quinto cavaliere. Io adoro la fiction, lui è un topo di biblioteca. Io, a scrivere quel libro, mi sono divertito come un matto. Lui l'ha odiato. A me piace l'indagine, lui adora il tavolino. Così abbiamo deciso di procedere ognuno per la propria strada». Ma avete litigato? «Nemmeno per sogno. Dominique è il mio migliore amico. I nostri figli stanno molto insieme. Lei mi ha trovato a Londra per caso. A Ramatuelle abitiamo porta a porta, c'è solo il nostro tennis in comune a dividerci. Ci vediamo o ci telefoniamo quasi ogni giorno. Ci diamo consigli, in pratica nulla è cambiato. Solo, scriviamo cose diverse». E, «operando sul campo», è finito anche in Colombia a dare un'occhiata al «Cartello»... «Già: molto istruttivo. A Bogotà telefono a un avvocato di cui alcuni amici mi avevano dato il numero». I ooliti amici, immagino... «Lui mi fa: "Sta ficcando il naso nel business, non è vero? Beh, ha trovato la persona giusta. Io sono il difensore dei tre fratelli Ochoa e sono in pool per Pablo Escobar. Mi dica pure"». Un po' pericoloso, no? «Stia a sentire: gli chiesi se, andando a Medelh'n, avrei corso qualche rischio. "Ma cosa dice, mister Collins? Le farò da guida personalmente". Fatto sta che andai e fu squisito. Mi portò persino nella finca degli Ochoa e mi fece invitare a pranzo dal padre, don Fabio, che spergiurò sull'innocenza dei figli. "Perché? - mi disse con occhi acquosi -. Perché tutto questo deve capitare proprio a noi? Una famiglia così religiosa... Pensi che Jorge Luis, il più vecchio, va a messa tutte le domeniche, fa la comunione e ogni mese va in pellegrinaggio dalla Santa Patrona di Colombia"». Ed Escobar? «Le dico solo una cosa: un anno fa quell'avvocato venne a trovarmi a Ramatuelle. E mi diede il particolare finale. Don Pablo, incarcerato, convoca nella sua elegantissima prigione Kiko Moncada, l'uomo che per lui ha introdotto il crack nei ghetti negri. Lo accusa di approfittare della situazione. "Sono in galera, ma comando ancora io". Tre giorni dopo il cadavere di Kiko viene trovato nel baule della sua macchina». In sostanza: fiction, ma con storie vere a cementare il racconto. «E' proprio questo che mi diverte. In questo modo sei costretto a vedere gente, a far funzionare il cervello perché parli con te. Così ti metti anche in condizione di farti favorire dalla fortuna». Come quella volta che le telefonò Noriega. «Ero a Panama, a casa della sua amante, Vicky Amado. Avevamo passato tutta la giornata in giro: mi aveva portato dalla donna che aveva allevato l'orfano Manuel e mi stava raccontando gli ultimi giorni del dittatore, quando, improvvisamente, suona il telefono. Risponde e dopo qualche minuto mi chiama: "C'è qualcuno che vorrebbe parlarle". Era proprio lui, Noriega, dalla sua cella di Miami». Progetti per il futuro? «Sto riducendo Fortitude per la televisione. A proposito, amico: è vero che Berlusconi non è solo tv ma anche il mio editore Mondadori?». Sì, amico. Che sia questo il prossimo thriller di Larry Collins? Piero Sona «L'operazione Contras e i suoi retroscena: la feccia del mondo al servizio di Reagan» «Sono perfino andato aMedellin per dare un'occhiata incasadiEscobar» «Un giorno a Panama dall'amante di Noriega A un certo punto squillò il telefono: era lui, chiamava dalla cella di Miami, voleva parlare con me» Ronald Reagan e Manuel Noriega. In alto le armi sequestrate ai narcos, a destra Larry Collins