Un ambiente complicato

B 1 ■"1 JIliL i Un ambiente complicato La nuova legge di riforma del sistema dei controlli ambientali, resa necessaria dai risultati del referendum, rischia di peggiorare efficienza e qualità dell'azione amministrativa, aggravando igià complessi problemi, che avrebbe dovuto risolvere La tutela ambientale dipende dalla somma algebrica dei comportamenti di un numero elevatissimo di soggetti e il problema del controllo rappresenta un aspetto di fondamentale importanza nella coscienza comune. I soggetti da controllare (ad es., gli insediamenti produttivi; dall'artigianato alla grande industria) sono molto numerosi; ciò impone che gli interventi di controllo, che richiedono verifiche e misure sul campo, necessitino di tempi lunghi e di elevata professionalità. La frequenza media delle verifiche concretamente effettuabili è, quindi, necessariamente limitata, a meno di dedicarvi risorse di tale entità da determinare un rapporto costo/benefici difficilmente giustificabile. Proprio per queste considerazioni, la via principale e più efficace per migliorare l'ambiente è quella della responsabilizzazione e dell'incentivazione, attraverso strumenti rivolti a stimolare comportamenti sempre più corretti da parte delle aziende, in questo senso vanno le recenti nonne CEE, come, ad esempio, l'adozione dell'etichettatura ecologica. Fatte queste premesse di ordine generale, il controllo ambientale, nel nostro Paese, è di norma considerato insufficiente e a ciò, nella sensibilità comune, viene attribuito di solito un nesso causa/effetto del degrado, di cui, in realtà, le deficienze del controllo ne sono responsabili solo in parte. Di questo proble¬ ma, siamo stati tutti investiti, come cittadini, allorquando, l'anno scorso, si è svolta la consultazione referendaria in tema del controllo ambientale. Il pronunciamento era stato richiesto da una parte del mondo ambientalista che, a torto o a ragione, attribuiva una delle cause principali della cattiva qualità dei controlli al fatto che questi dipendevano - anche se non esclusivamente - dalle USL, ossia dalla Sanità. I proponenti ritenevano che coloro che hanno una formazione di tipo sanitario tendono ad interessarsi primariamente di tutto ciò che riguarda la salute e la sicurezza dell'uomo, mentre, nell'ambito dei problemi ambientali, le competenze sono svariatissime. I risultati abrogativi del referendum aprirono il problema della riorganizzazione di questo servizio. Durante la campagna per il voto, molti difensori dello status quo avevano sostenuto che l'esclusione delle USL avrebbe creato un pericoloso vuoto di competenza, dimenticando volutamente o meno - che, in realtà, già dal 1990 esisteva una legge dello Stato, la n. 142, che affidava il ruolo principale del controllo ambientale alle Province. Nessun vuoto di potere, quindi, ma anzi l'occasione per razionalizzare tutto il settore, secondo indirizzi già chiaramente fissati dal legislatore. L'abrogazione referendaria avrebbe potuto facilmente consentire il rinnovo del sistema di controllo, superando le disfunzioni che l'esperienza di questi anni ha fatto emergere. L'esigenza più sentita, per i disagi che comportava, era la riduzione del numero di organi preposti o competenti al controllo. Attualmente, ad esempio, in materia di rifiuti possono coesistere almeno 7 enti controllori, indipendenti fra loro. Ciò porta, inevitabilmente, a criteri di valutazione spesso differenti, se non divergenti. Accentrare il potere di controllo in un unico ente, con la possibilità di avvalersi anche di altre strutture presenti sul territorio, significa controllare con maggior razionalità, aumentando la professionalità dei controllori, cui le più recenti normative affidano compiti tecnicamente sempre più complessi. Un altro problema da affrontare era la definizione di una dimensione territoriale ottimale dell'organo di controllo. Sotto questo punto di vista, l'ambito provinciale sembra il più adeguato, per la maggior parte dei casi, sia per evitare la polverizzazione delle strutture, che per operare su un territorio sufficientemente omogeneo. Ciò non esclude, naturalmente, che, per problemi di particolare complessità, non sia opportuno affidare i controlli ad enti di maggior articolazione territoriale, quali le Regioni. Terza esigenza era l'accentramento in un unico ente dei poteri sia amministrativi che di controllo. In altre parole, l'ente che istruisce una domanda di autorizzazione, e la rilascia, dovrebbe poi essere anche quello che ne controlla l'attuazione. Dopo mesi di discussioni e di contrapposizione tra diverse tesi, il Parlamento ha definito la questione con una norma approvata frettolosamente in chiusura del 1993, con le modalità, mortificanti, tipiche delle approvazioni di «fine legislatura»; si tratta della legge n. 6Idei 21 gennaio 1994. La soluzione trovata è, infatti, aberrante: invece di semplificare il quadro, si è creato un ente nuovo, l'ANPA, le cui agenzie regionali dovranno occuparsi anche del controllo ambientale. Se la nascita dell'ANPA può essere giustificata dall'esigenza di un organo tecnico a supporto di Ministeri e Regioni, per consentire una migliore definizione delle norme ambientali, la sua articolazione regionale non può non destare perplessità. La nuova legge presenta, in realtà, contenuti addirittura antitetici rispetto ai problemi descritti. Infatti: a) la legge non razionalizza l'insieme dei controlli, che rimangono affidati a una pluralità di enti, limitandosi a sostituire le USL con l'Agenzia; b) l'Agenzia ha dimensione regionale, con articolazioni provinciali o subprovinciali: una struttura complessa, che rischia di diventare il classico carrozzone burocratico già visto in altre occasioni. L'Agenzia regionale dipende, a sua volta, sul piano tecnico da quella nazionale: fa¬ cile prevedere problemi sgradevoli per i controllati il giorno in cui gli indirizzi del centro si trovassero in contrasto con le disposizioni/interpretazioni locali. Un inconveniente, questo, verificatosi spesso negli ultimi anni; c) le funzioni amministrative e quelle di controllo rimangono essenzialmente separate, burocratizzando il sistema. Per l'espletamento delle funzioni amministrative, rimaste in capo alle Province, per esempio, queste dovranno avvalersi della consulenza tecnica dell'Agenzia. Pare di capire, quindi, che una domanda di autorizzazione inoltrata alla Provincia dovrà esser girata all'Agenzia per le valutazioni tecniche, con successivo ritorno alla Provincia, che rilascerà il fatidico pezzo di carta. La grande maggioranza degli interventi sui processi produttivi implica, ormai, il ricorso ad autorizzazioni ambientali preventive ed esplicite: il nuovo meccanismo non può, quindi, non suscitare grande preoccupazione per i tempi di attesa che comporterà. Come spesso accade in Italia, una riforma che era indispensabile si è trasformata in un'occasione perduta, con un'apparente vittoria per la causa ambientalista, cui molti - troppi - hanno acriticamente applaudito. La sua attuazione provocherà, in realtà, un appesantimento ed un peggioramento del nostro sistema di tutela ambientale. Siamo i primi ad augurarci di essere smentiti dai fatti.

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