l'Onu «Colpiremo il primo che spora»

L'inviato di Eltsin da Milosevic accusa l'Occidente, in Bosnia scomparsi cinque reporter L'inviato di Eltsin da Milosevic accusa l'Occidente, in Bosnia scomparsi cinque reporter l'Orni: «Colpiremo il primo che spora» / serbi replicano: i nostri cannoni non si spostano WASHINGTON. Washington ha mandato ieri un duro avvertimento ai serbi: se un solo colpo di mortaio cadrà su Sarajevo, i caccia della Nato annienteranno le artiglierie responsabili «entro uno o due minuti al massimo». Lo ha detto il neo-segretario alla Difesa William Perry, precisando che i raid sono solo «una parte del pacchetto di iniziative» che l'Alleanza ha predisposto per fermare il massacro nella capitale bosniaca. Ha osservato tuttavia che i negoziati potrebbero durare mesi: «E mentre si continua a parlare, i bombardamenti dovrebbero aiutare a ridurre le stragi». Ancora più esplicito è stato l'emissario dell'Onu Yasushi Akashi: il mandato delle Nazioni Unite alla Nato per eventuali raid - ha detto - «si applica a tutte le parti in conflitto» responsabili di violazioni del cessate-il-fuoco. Poco dopo, l'ambasciatrice Usa all'Onu, Madeleine Albright, ha invitato i serbi a non pensare che le minacce Nato siano prorogabili: l'ultimatum del 20 febbraio per il ritiro dei loro cannoni da Sarajevo - ha dichiarato - è inamovibile: «Leggano bene il documento dell'Alleanza: non sono possibili dilazioni». L'ambasciatrice ha confermato che Washington è pronta a partecipare con truppe di terra alla forza multinazionale necessaria all'applicazione di un accordo di pace. Ha però fatto marcia indietro sulla promessa iniziale, secondo cui Washington avrebbe fornito metà del contingente di 50 mila uomini previsto: «Si era parlato di 25 mila soldati, ma è un numero su cui non vogliamo giurare». L'invio di militari americani in Bosnia non è popolare negli Usa: ancora venerdì scorso, il sottosegretario di Stato Peter Tarnoff, inviato per consultazioni con gli alleati europei, aveva preannunciato che il contributo Usa sarebbe stato ridotto rispetto all'impegno iniziale. La Albright gli ha fatto eco affermando che l'invio di truppe americane avverrà solo nel caso di un'intesa chiaramen¬ te concordata tra le parti. La Casa Bianca, infatti, non vuole trovarsi impelagata in un altro Vietnam. «Non possiamo mandare i nostri ragazzi a difendere una spartizione in cui sarebbero a grande rischio», è stato l'avvertimento lanciato dal capo dei repubblicani in Senato Bob Dole. Ma un nuovo colpo di freno è arrivato ieri da Mosca. In una conversazione telefonica con il segretario di Stato americano Warren Christopher, il ministro degli Esteri russo Andrei Kozirev ha ribadito che la Nato non può muoversi senza il via del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Ben più brutale è stato Vitali Ciurkin, emissario russo per l'ex Jugoslavia, che ieri ha incontrato a Belgrado il presidente serbo Slobodan Milosevic. In una conferenza stampa riservata ai reporter russi, Ciurkin ha accusato l'Occidente di voler intervenire in Bosnia per tramite della Nato, invece che attraverso l'Onu, allo scopo di evitare la possibilità di un veto russo che blocchi il blitz. Nelle stesse ore, il leader ultranazionalista russo Vladimir Zhi- rinovsky ha dichiarato che i suoi «volontari» sono pronti alla «battaglia finale» contro i musulmani di Bosnia, se gli aerei della Nato lanceranno attacchi contro «i fratelli slavi». A Sarajevo, intanto, non si spara da tre giorni: mentre scorre il tempo verso l'ora «x» alla mezzanotte del 20 febbraio, ieri i serbi si sono improvvisamente irrigiditi, dichiarando che non consegneranno più armi finché i Caschi Blu non saranno in grado di garantire il controllo sulla fanteria musulmana. Una posizione che è stata ammorbidita alcune ore più tardi, quando alcuni pezzi d'artiglieria sono stati nuovamente consegnati. Il sospetto dei serbi è che le truppe di Sarajevo occuperanno le zone che andranno via via smilitarizzando. Ma nel resto della Bosnia i combattimenti continuano. Un gruppo di giornalisti, la cui nazionalità non è stata resa nota, è scomparso tra Visoko e Kiseljak. La notizia è stata resa nota dall'Unporofor, precisando che i reporter erano riusciti a lanciare un messaggio radio in cui dicevano che uno di loro era ferito. Nella zona sono in corso violenti combattimenti tra i bosniacomusulmani e i croato-bosniaci. E proprio i croati hanno sottoposto l'altra notte la vicina cittadina di Gornji Vakuf a un bombardamento che ha costretto i Caschi Blu a scendere nei rifugi. Anche Mostar è stata pesantemente bombardata, mentre infuriava una tempesta di neve. le. st.] Tra la gente si delineano piccole fratture pronte a trasformarsi in crateri quando ci sarà qualcosa da dividere, qualcosa da ricostruire