E' già polemica sul «voto pastoie» di Valeria Sacchi
E' già polemica sul «voto pastoie» E' già polemica sul «voto pastoie» Regole ancora incerte nelle società privatizzate MILANO. Voto postale a tutela dei piccoli azionisti. Un marchingegno introdotto nel decreto del governo sulle privatizzazioni, a parziale risarcimento della non accoglienza del voto di lista. E che già fa discutere. Non è strano, poiché per l'Italia è una novità assoluta, ed in effetti porta con sé alcune complicazioni. Ad esempio, dovrebbe rendere difficile, per non dire impossibile, introdurre emendamenti in assemblea, dal momento che i piccoli azionisti hanno votato per corrispondenza su un preciso ordine del giorno. Tuttavia, il decreto del governo parla di facoltà di inserire negli statuti societari tale voto. Dunque starà poi alla singola società fissarne le modalità. E del resto, questo tipo di voto esiste già in grandi gruppi come Volkswagen, o nelle privatizzate francesi. E non si è mai saputo che siano saltate per aria le loro assemblee. Caso mai, un ostacolo potrebbe venire dalle nostre Poste che, contrariamente a quelle di Germania e Francia, troppo spesso non permettono di fare affidamento su tempi certi. Ma anche per le Poste è stato avviato un piano di riorganizzazione. Il voto per corrispondenza stranamente accomuna nelle critiche conservatori e sinistre. I primi, per le ragioni dette, lamentano una possible burocratizzazione assembleare, i secondi guardano con disprezzo al voto per corrispondenza, considerandolo un surrogato ben misero rispetto al voto di lista. E' questo voto di lista un meccanismo che, con schemi simili a quelli dei collegi elettorali, fa entrare nei consigli di amministrazione, oggi nominati dalle maggioranze, anche i rappresentanti delle minoranze. Ma il governo ha detto no più di una volta al voto di lista, e se mai prospetta l'ipotesi che le minoranze esprimano il presidente del collegio sindacale. La discussione è in atto, ma sul voto di lista si continua ad insistere, considerandolo il vero mezzo di tutela delle minoranze. Tuttavia, curiosamente, la sinistra, che tanto lotta per questo voto di lista, era poi pronta a far passare un altro punto, che viceversa il governo ha respinto. E' il voto per delega, caro a quello che le sinistre chiamano il «mondo del capitale». La raccolta delle deleghe, infatti, consentirebbe facilmente alle ban¬ che o alle grandi istituzioni di procurarsi dalla clientela le deleghe per rappresentarla in assemblea, arrivando quindi, con un peso ben maggiore, a poter influire sulle sorti societarie. Su questo punto, stranamente, la sinistra non aveva nulla da eccepire. O forse l'ha accettato nell'ambito di una lunga mediazione, che aveva come chiodo fisso il voto di lista. Ed è stato viceversa proprio il governo a respingere, insieme al voto di lista, questo punto. Ma su questo punto cancellato, nessuno ha sollevato pubbliche rimostranze. Per cui, ancora una volta, riesce difficile capire se tutte queste baruffe siano sostanziali o politiche. Valeria Sacchi
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