Orson Welles; «è tutto vero» te lo dò io il Brasile di Gianni Rondolino
Orson Welles; «P tutto vero»# te lo dò io il Brasile Presentata al FilmFest di Berlino un'opera incompiuta del 1942, rimasta negli archivi per quasi cinquant'anni Orson Welles; «P tutto vero»# te lo dò io il Brasile Un drammatico documento del regista sulla vita dei pescatori carioca BERLINO. Nel febbraio del 1942 Orson Welles andò in Brasile per girarvi un documentario sul Carnevale di Rio e sulla storia del samba. Era reduce dal successo di «Quarto Potere» e aveva appena finito «L'orgoglio degli Anderson», che gli dava tuttavia non poche preoccupazioni con la produzione. Il nuovo film brasiliano, sollecitato da Nelson Rockfeller, allora al ministero degli Esteri per le questioni sudamericane e maggiore azionista della Rko (la casa produttrice dei primi due film di Welles), avrebbe dovuto essere al tempo stesso un omaggio alla cultura e alla tradizione brasiliana e uno spaccato del Brasile di Getulio Vargas in chiave più o meno propagandistica. Welles non aveva con sé nessuna sceneggiatura, e si affidava al suo intuito, alla sua curiosità, alla capacità tutta sua di creare delle immagini ricche e complesse guardando semplicemente la realtà. E poi, per lui, il film - il cui titolo era «It's ali true» (E' tutto vero) - sarebbe stata una sfida: immergersi nella quotidianità, dopo aver realizzato due opere di finzione legate alla ricostruzione storica del pas¬ sato più o meno recente, e farne scaturire un nuovo realismo che superasse quello estetizzante dell'Eisenstein di «Que viva Mexico!» e quello liricizzante del Flaherty delì'«Uomo di Aran». Infine, non c'erano solo il Carnevale di Rio e il samba in Brasile: ma i poveri pescatori che avevano sfidato l'oceano con una zattera per protestare contro il governo centrale per le loro miserevoli condizioni di vita. Insomma, il viaggio brasiliano poteva anche essere l'occasione per fare un film «politico». Il progetto di Welles andò in fumo. Il governo brasiliano mal tollerava questo intruso americano che scopriva la miseria dei poveri e protestava; ai vertici della Rko ci furono dei cambiamenti e il nuovo presidente ta- di Curzio Maltese Mia madre mi dice sempre che per odiare non ho il knowbow (Silvio Berlusconi da Funari, ieri ore 19,30) gliò i fondi al regista e alla sua piccola troupe, che furono costretti ad abbandonare l'impresa. Per quasi 50 anni 0 materiale girato rimase sepolto negli archivi. Ora, grazie all'opera di Richard Wilson, già assistente di Welles, e dei cineasti Krohn e Meisel, «It's ali true» ha rivisto la luce, presentato qui al Forum dopo la prima newyorkese di ottobre. Ed è un'emozione grande vedere questo documentario che si svolge su tre livelli: le dichiarazioni di Welles che ricostruisce la storia del film; le interviste ai brasiliani sopravvissuti; le sequenze originali montate secondo il progetto wellesiano. E sono queste, splendide e ricche di un'interiore drammaticità, a farci rimpiangere che il film sia rimasto incompiuto. Sono sufficienti i quaranta minuti di «Quattro uomini su una zattera», l'episodio centrale attorno al quale ruotavano gli altri, a confermarci nell'idea che Welles seppe «superare» Eisenstein e Flaherty, anticipando quel «cinema della realtà» che ci avrebbe dato Visconti ne «La terra trema». Gianni Rondolino
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