lo stadio Olimpico un camposanto di Giuseppe Zaccaria

lo stadio Olimpico/ un camposanto lo stadio Olimpico/ un camposanto E le piste tagliate da trincee e distrutte dalle bombe BOSNIA, IO ANNI DOPO LSARAJEVO O stadio olimpico disteso ai piedi della collina di Kosevo è quasi intatto, ma organizzarvi qualsiasi manifestazione d'ora in poi sarà difficile: dalle morbide strutture a vela, il grande impianto guarda solo una sconfinata distesa di croci. E' sovrastato, assediato dall'idea della morte: tutto il crinale del colle, ogni fazzoletto di terra fino al più grande ospedale della città, è stato trasformato in cimitero. Ecco il primo modo, forse il più ovvio, per vivere da Sarajevo l'inaugurazione di giochi invernali che anche qui la televisione trasmette in diretta, ma come se si svolgessero su un altro mondo. Dieci anni? Dall'ultima Olimpiade invernale della Jugoslavia unita paiono trascorsi addirittura tempi siderali: l'altra mattina, quasi senza accorgercene, seguendo i Caschi blu francesi nel timido approccio alle nuove posizioni, ci siamo ritrovati in un accampamento ricavato in un enorme sotterraneo. Era quello della palestra di Skanderja, già tempio del pattinaggio artistico. Sul monte Trebevic, dorè dieci anni fa era la pista di bob, da ventidue mesi soldati | serbi e bosniaci bestemmiano per le esalazioni che troncano il respiro e bruciano gli occhi. La vecchia pista è tagliata in due dalle prime L n,s, e ancora l'ammoniaca vt d p~r tenere saldo il g _ccio spande sugli uomini un tanfo pesante. Le piste di salto del monte Igman sono presidiate dall'Onu, gli alberghi di Jahorina (territorio di Pale) accolgono generali e politici del piccolo parlamento serbobosniaco, a Bjelasnica la pi¬ sta di «super G» sembra un terreno arato di fresco, tante sono le granate che vi si sono abbattute. I piloni degli impianti di risalita sono sbriciolati tutti, fatti saltare da reparti militari che battevano in ritirata. Della grande Palestra di Zetra (vi si corsero le gare di pattinaggio veloce) resta in piedi soltanto un'ala, anch'essa trasformata in acquartieramento dei Caschi blu. Restavano due stadi, costruiti nello stesso periodo ma destinati al cal¬ cio. Quello dello Zeleznicar, a Grbavica, in una zona serba, è libero ma sforacchiato lungo l'intero perimetro: sorge proprio a ridosso del ponte intorno al quale fino all'altro ieri i due eserciti hanno scambiato un volume di fuoco impressionante. Quello del Sarajevo, il zona bosniaca, è invece quasi intatto all'esterno, ma sul prato nessuno si esibirà mai più. Le tombe, lì, sono state scavate direttamente sul terreno di gioco. Questo, se si volge l'occhio al passato. Ma esiste anche un altro modo, dicevamo, di guardare a questa ricorrenza, ed è l'orse il più concreto e attuale. E' il modo in cui a Lillehammer sta guardando Slavenko Lusic, vent'anni, già pattinatore più veloce di Jugoslavia, ed alle olimpiadi di Albertville più giovane componente la squadra della federazione. «Gli atleti bosniaci a Lilleharnmer sono dieci, in tutto la delegazione conterà venticinque persone in tutto. Vedrete: qui non tornerà nessuno». Dal punto di vista di chi vive a Sarajevo, quest'Olimpiade servirà soprattutto a una cosa: uscire dalla città assediata per non mettervi mai più piede. E' un giovane alto e bruno, Slavenko, e in queste ore l'aria naturalmente tenebrosa è accentuata dalla delusione. Si aspettava di essere convocato, ma non è andata così: «Da due anni non ho potuto compiere allenamenti seri ammette - ma è stato così an- che per tutti gli altri componenti della squadra. Al massino ho potuto correre per fare fiato, e qualcosa l'avevo ottenuta: prima facevo i quattrocento metri in 56 secondi, adesso in 53. Ma è vero anche che a correre, qui, si sono abituati un po' tutti...». Non è solo delusione, però: anche, forse soprattutto, l'idea di aver perso l'ultimo autobus per una vita più decente. Non esiste bosniaco che possa metter piede fuori da Sarajevo, i controlli serbi sono feroci, ed anche le Nazioni Unite stanno attentissime ad evitare gli incidenti. Un lasciapassare può valere anche una vita. Quelli degli sciatori e pattinatori che ieri sfilavano a Lillehammer dietro ad una bandiera a mezz'asta, potrebbero risultare gli ultimi prima della grande paura. Quella di Slavenko Lusic, insomma, è tutt'altro che delusione sportiva. Come tutt'altro che tentato dal grande rito dello sport si era dimostrato, appena tre giorni fa, un'altra «star» della selezione bosniaca, il pattinatore Igor Boros. Venerdì scorso, quando ancora esisteva qualche speranza che venisse inserito nella rappresentativa, Boros ha salutato tutti ed è riuscito a montare su un «C 130» diretto a Spalato. Si era procurato, a peso d'oro, una falsa tessera da giornalista. Moltissimi stanno tentando di fare come lui: offrono fino a cinquemila marchi, una cifra spropositata per qualsiasi ordinario bilancio. Prima di lui, quattro sciatori di fondo avevano scelto una via di fuga più consona: coi loro attrezzi ai piedi, scivolando silenziosi di notte attraverso le linee serbe. Giuseppe Zaccaria Dieci anni dopo le Olimpiadi lo stadio di Sarajevo ai piedi della collina di Kosevo si presenta così: un gigantesco cimitero, una sconfinata distesa di croci

Persone citate: Boros, Igor Boros

Luoghi citati: Jugoslavia, Sarajevo, Spalato