Samaranch tutti in piedi per Sarajevo di Gian Paolo Ormezzano

Il presidente del Ciò ha inaugurato i Giochi invernali con un appello per la città martire Il presidente del Ciò ha inaugurato i Giochi invernali con un appello per la città martire Samaranch: tutti in piedi per Sarajevo La festa triste di Lillehammer LILLEHAMMER NOSTRO SERVIZIO Dal punto di vista lessicale e temporale quello di ieri a Lillehammer per Sarajevo, nella cerimonia inaugurale dei diciassettesimi Giochi invernali, non è stato un minuto, ma un momento di raccoglimento. Il minuto era stato chiesto da Carrara, membro italiano del Ciò, il momento, di una decina di secondi, è stato deciso da Samaranch, lo spagnolo che del Ciò è presidente. Evidentemente si è ritenuto di non dovere spalmare una dose troppo grossa di commozione sulla festa. Le parole di Samaranch, nel discorso in cui ha invitato il lì presente Harald re di Norvegia a dichiarare aperti i Giochi, sono state più intense del momento di silenzio proposto a gente che batteva disperatamente i piedi per il gelo, facendo un rumore da industria pesante. Il vecchio signore del Ciò ha detto, nel suo discorso mezzo in francese mezzo in inglese: «Dieci anni fa eravamo ai Giochi di Sarajevo, città piena di sport, di comprensione, di amicizia, di pace. Da due anni il popolo di quella città patisce enormi sofferenze. Invito tutti qui, tutti nel mondo dello sport, tutti nelle case di tutto il mondo ad un momento di meditazione». E poi, dopo un «merci» per la partecipazione: «Il nostro messaggio di pace è più forte che mai: basta con la guerra, le uccisioni, le armi». Lui voleva la tregua olimpica all'antica, non ce l'ha fatta. I ventimila dello stadio creato alla base dei due trampolini si sono limitati ad applaudire brevemente al nome di Sarajevo, e poi a tacere un momento. Forse è freddezza scandinava fisiologica, forse i meno 15° avevano intorpidito anche gli animi: ma sul posto non si è avuta certamente la sensazione di un impegno intenso dei cuori e dei cervelli, e neppure dei corpi. D'altronde la sfilata della squadra della Bosnia, pochi atleti malvestiti, non ha raccolto grandi applausi, ha avuto il clap-clap guantato di tutte le altre. E le molte bandierine degli spettatori norvegesi si sono agitate molto soltanto quando la squadra di casa ha chiuso la parata. Delusione no, ma neanche sensazione di qualcosa di profondo. Samaranch andrà mercoledì a Sarajevo, forse non voleva lanciarsi troppo contro i serbi, non per paura ma per opportunità politica di uno sport che cerca sempre di compattarsi, ad ogni prezzo. Oppure si è trattato di alta e contorta diplomazia, visto che lui spera ancora nel Nobel della pace, assegnato dai norvegesi che contestano in molti, oltre al suo passato franchista, il suo lobbysmo. La cerimonia ha avuto l'anestetico forte del gelo, con le complicazioni di caduta continua ancorché leggera di neve. E' cominciata alle 16 con le ultime luci del giorno, è stata molto sobria, di¬ ciamo pure molto ecologica, proponendo una Norvegia antica di lapponi, renne, primissimi sciatori, cavalli, contadini. Abiti tutti scuri, il cromatismo spinto offerto quasi esclusivamente dai bambini vestiti da elfi, a formare ed animare i cinque cerchi olimpici. Musiche locali, neniose, canzoni non trascinanti. Possibile una buona resa televisiva, ma lì dal vivo lo show ci è parso miserello. Bella comunque la calata dal monte degli sciatori praticanti il telemark, bella qualche coreografia paesana. Niente a che vedere con la poesia geniale dell'inaugurazione di Albertville 1992, però niente a che spartire con lo scialo di cerimonie precedenti. La sfilata di squadre di 66 Paesi (in giacconi e braghe azzurro chiaro, novità, la squadra dell'Italia), di circa mille atleti (molti quelli rimasti al caldo) ha preceduto l'arrivo della fiaccola, portata in volo dal trampolino da Stein Gruben, saltatore che ha sostituito il compare feritosi giovedì e che ha fatto un balzo corto, prudente. Il fuoco è passato da lui, dopo atterraggio e frenata, ad una fondista handicappata, che dopo qualche passo lo ha dato al principe ereditario Haakon, il quale ha salito una scalinatella ed ha acceso il grande tripode. Poi Ulvang, il fondista che vuole un Ciò democratico, ha giurato lealtà allo sport, e via all'Olimpiade. Gian Paolo Ormezzano Lillehàmmer'94 po Hp-

Persone citate: Stein Gruben

Luoghi citati: Carrara, Italia, Norvegia, Sarajevo