GLI SPETTRI DI OCCHETTO di Enzo Bettiza

GLI SPETTRI DI OCCHETTO PDS TRA POSTCOMUNISMO E CONSOCIATNISMO GLI SPETTRI DI OCCHETTO SAREBBE stato certo preferibile avere a che fare oggi con un partito democratico della sinistra, che si pretende rinnovatore, veramente e chiaramente rinnovato ed emendato del suo «peccato originale» che risale alla scissione di Livorno e alla fondazione della Terza Internazionale. Se non altro, sarebbe stato più facile uscire da certi equivoci anacronistici, sgomberando la campagna elettorale in corso dai fantasmi speculari di un anticomunismo senza comunismo, e di un antifascismo senza fascismo, che intossicano sempre più il teleclima inquinato che respiriamo da qualche settimana. Ostinarsi tuttavia a voler sottoporre il pds, partito che dirige l'orchestra della sinistra, a un ennesimo esame di maturità democratica, è un'operazione sviante che ci porta lontano dal centro del vero problema. Dato che nell'anomala vigilia elettorale del 1994 il pds si presenta molto più partito di governo del vecchio pei, mi sembra vano attardarsi in puntigliose analisi dei tassi di democraticità dei pidiessini e del rapporto elusivo che essi intrattengono con la loro storia. In questo momento d'emergenza mi sembra più urgente il bisogno di andare al cuore dell'autentico problema: la fuoriuscita del pds, non tanto dal comunismo che è morto, ma dai labirinti del postcomunismo europeo e della prima Repubblica italiana, in cui Occhetto e D'Alema continuano ad aggirarsi senza trovare la via d'uscita. Essi infatti danno l'impressione di avere come smarrito il filo d'Arianna fra i calcinacci ancora ingombranti, e fra loro incastrati, del muro berlinese che ha seppellito il comunismo e di Tangentopoli che ha travolto il sistema partitocratico indigeno. Si era detto e sperato che da tale duplice crollo sarebbe emerso alfine, anche in Italia, un nuovo sistema politico semplificato, quasi binario imperniato su una sinistra e una destra parimenti democratiche, parimenti legittimate e quindi legittime l'una per l'altra. Si auspicava insomma che dal grande sconquasso internazionale e nazionale venisse fuori, come la farfalla dalla crisalide, un più agile e più asciutto meccanismo elettorale, partitico e parlamentare, ricomposto sul modello delle più evo¬ lute democrazie occidentali. Ma, almeno finora, sta accadendo esattamente il contrario. Il maggioritario uninominale si è combinato in maniera patologica con la proliferazione dei partiti, anziché con una loro parziale estinzione. La scossa sismica, invece di prosciugare il paesaggio politico italiano, spostandolo nettamente a Occidente, lo ha frantumato, frammentato, spezzettato, spingendolo in definitiva più a Oriente che a Occidente. Tanto per evocare i due casi più macroscopici, la tradizione comunista ha partorito due partiti, mentre quella democristiana ne ha generato addirittura tre. Si è formato così un arcipelago di partiti dimezzati, partitini, movimenti trasformisti talmente variegato e frastagliato da ricordare i palinsesti elettorali, non dell'Inghilterra o dell'America, ma della Polonia e della Russia postcomuniste. I vagheggiati «poli» contrapposti e alternativi sono diventati pure finzioni verbali. Ha ragione Giovanni Sartori, che da una vita si occupa di queste cose, quando osserva: «Dalle ammucchiate elettorali che sono in gestazione è facile che escano, nel futuro Parlamento, almeno sette partiti prodotti dal sistema uninominale, e in più due o tre partiti aggiuntivi ripescati e salvati dalla quota proporzionale». In questo quadro, così opposto alle speranze e alle previsioni semplificatrici, paradossalmente è la destra moderata che per la prima volta in Italia tenta di cavalcare il nuovo. E' la destra, dopo il colpo d'ariete inferro da Bossi al vecchio universo partitocratico, che cerca oggi con Berlusconi di darsi una leadership al vertice di un polo relativamente omogeneo, con strategie empiriche più che programmate, anch'esse relativamente omogenee; è essa che presenta all'elettore il personale politico più fresco, anche se professionalmente ancora rozzo e dilettantesco, ed è essa che propugna il più drastico cambiamento delle regole di gioco su cui si resse e decompose la prima Repubblica. Questa nuova destra non ha, e neppure finge di avere, un programma comune di governo. Ha però dalla sua, rispetto alla galassia delle sinistre, un impeto Enzo Bettiza CONTINUA A PAG. 5 SETTIMA COLONNA

Persone citate: Berlusconi, Bossi, D'alema, Giovanni Sartori, Occhetto

Luoghi citati: America, Inghilterra, Italia, Livorno, Polonia, Russia