Gli Usa: Bosnia da spartire
Gli Usa: Bosnia da spartire Gli Usa: Bosnia da spartire Mezza svolta, l'Amministrazione prende le distanze dai musulmani WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Bill Clinton ha cambiato ancora una volta posizione sulla Bosnia. Mentre, fino a pochi giorni fa, tutta la pressione veniva esercitata sui serbi, l'Amministrazione americana spinge adesso sui musulmani perché accettino un piano di spartizione della Bosnia e contempla la possibilità di una progressiva cancellazione delle sanzioni contro la Serbia. La novità è emersa nel corso dei colloqui avuti nei giorni scorsi a Bonn, Parigi e Londra dal responsabile per gli Affari politici del Dipartimento di Stato, Peter Tarnoff, e dall'inviato speciale per la Bosnia David Redman. Gli americani presentano il mutamento di linea come un necessario compromesso con gli europei (soprattutto i francesi) per mantenere in vita il progetto di attacchi aerei punitivi contro i serbi, ma probabilmente rivela l'esistenza di informazioni riservate a proposito di responsabilità musulmane sul protrarsi degli eccidi a Sarajevo e segnala in realtà un'indecisione strategica di fondo. Nel corso dei mesi passati, gli americani avevano indicato nei serbi i principali colpevoli per il protrarsi della guerra, avevano sempre rifiutato di farsi coinvolgere in trattative su piani di pace preferendo concentrare la pressione su una delle parti, appunto i serbi, e incoraggiando indirettamente i bosniaci a respingere i vari piani di pace elaborati dagli inviati dell'Onu e della Cee. In questo modo, non solo erano venuti a trovarsi in rotta di collisione con gli europei, ma soprattutto avevano dovuto ammettere quella che il segretario di Stato Warren Christopher ha definito «un'imbarazzante sensazione di impotenza». Un portavoce del Dipartimento di Stato ha assicurato ieri che il mutamento di posizione non significa affatto che gli Stati Uniti abbiano deciso di cambiare sponda della barricata. «Incoraggeremo - ha detto - i musulmani bosniaci a trattare una soluzione territoriale che preveda una spartizione del territorio che controllavano prima dell'esplodere del conflitto, ma anche ad avanzare richieste per una soluzione soddisfacente dal loro punto di vista». Ieri il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, citando le pessime condizioni atmosferiche che gravano su New York, ha rinviato alla settimana prossima una riunione sulla Bosnia nel corso della quale avrebbero dovuto essere appianate alcune divergenze con la Russia sull'ipotesi di azioni aeree punitive contro i serbi. Ma, per quanto possano valere, le divergenze ci sono e probabilmente resteranno anche dopo la riunione al Palazzo di Vetro. Inoltre, anche se i comandi della Nato e il Pentagono assicurano di essere pronti a dare esecuzione all'ultimatum di mercoledì scorso, l'ipotesi di attacchi punitivi resta tale, mentre quasi nessuno crede che, qualora diventi una realtà, potrebbe avere effetti taumaturgici. Il comandante delle truppe Onu in Bosnia, il generale Sir Michael Rose, ha assicurato ieri che «la tregua sta tenendo» e il ministro degli Esteri inglese, Douglas Hurd, ha definito la situazione «incoraggiante», sostenendo che i serbi hanno cominciato a ritirare alcune delle loro postazioni di artiglieria. Secondo l'ultimatum emesso dalla Nato mercoledì scorso, i serbi hanno dieci giorni per ritirare le loro armi più potenti oltre un raggio di 20 chilometri da Sarajevo. «Finora tutto bene», ha detto Hurd. Ma, anche se la situazione ridiventasse grave e il segretario generale dell'Onu decidesse di ordinare attacchi contro i serbi, si tratterebbe di un'azione dimostrativa e sporadica: al di là delle vittime che potrebbe causare, difficilmente piegherebbe la determinazione dei serbi, consapevoli delle divisioni all'interno della comunità internazionale. Paolo Passarmi
Persone citate: Bill Clinton, Douglas Hurd, Hurd, Michael Rose, Peter Tarnoff, Warren Christopher
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