Biennale No grazie

polemica. Giulio Paolini rifiuta un invito di Rondi: inutile discutere di politica culturale polemica. Giulio Paolini rifiuta un invito di Rondi: inutile discutere di politica culturale Biennale? No, grazie «Le istituzioni non ci riguardano» LA Biennale di Venezia sta per compiere cento anni, al Senato è pronto un progetto di legge per —_J rinnovarla, e il Comitato direttivo chiede pareri ai diretti interessati. Cineasti, uomini di teatro, musicisti, architetti e artisti nelle scorse settimane hanno ricevuto l'invito per partecipare a delle «giornate di studio» con lo scopo di «ripensare la struttura istituzionale dell'Ente». E' finalmente l'occasione per mettere le cose in mano alle persone competenti o si tratta di uno specchietto per le allodole? Leggendo attentamente la lettera firmata da Gianluigi Rondi, attuale Presidente, si scopre infatti che all'incontro interverranno con una relazione tutti gli ex direttori di settore nominati dopo il 1973. Ovvero, una decina di relazioni per ogni sezione. Sono state invitate centinaia di persone per ogni disciplina; è pensabile che in una giornata si possa discutere e proporre? Soprattutto se in gioco c'è un Ente al centro delle polemiche fin dalla sua fondazione, quando D'Annunzio riuscì a ottenere il Premio per il suo amico Francesco Paolo Michetti. Negli anni, corruzione, lottizzazione, contestazioni e tormenti vari hanno accompagnato quella che è stata la prima Esposizione Internazionale d'arte nel mondo. E anche questa volta, l'iniziativa non a tutti è piaciuta. Per non creare malintesi o equivoci, il torinese Giulio Paolini, uno dei maggiori esponenti dell'arte concettuale, ha declinato l'invito con garbo. «Non ritengo necessario che si interpellino gli artisti su questioni come la sopravvivenza o la rigenerazione di strutture che del loro parere dovrebbero farne a meno» ha risposto a Rondi. Ma quanti sono d'accordo con lui nel ritenere che l'artista debba rimanere estraneo alla politica culturale? «Sì, anch'io sono contraria al coinvolgimento - risponde Carla Accardi, nota per le sue tele astratte. Lottare perché le cose funzionino secondo competenza e giustizia dà solo delusioni. Ho capito che l'artista è "al di qua" di situazioni come la giornata in questione alla quale peraltro non sono stata invitata». Niente affatto d'accordo con Paolini, Toti Scialoja a Venezia il 19 febbraio ci sarebbe andato, e con grande gioia, perché «L'artista non può vivere senza cultura e la tradizione culturale va difesa per le nuove generazioni. Più di altri deve essere interessato e impegnato a proteggere un patrimonio che è di tutti». Anche lui non è stato invitato. Però ha molto chiaro come dovrebbe essere la nuova Biennale: «Bisogna sottrarla a ogni influenza politica privatizzandola e affidarla ai competenti e appassionati. In Italia, persone degne di fiducia per i loro meriti ci sono. Bastano un grande critico d'arte al di sopra delle parti, un artista, un collezionista o un mecenate che ami l'arte moderna e creda in certi valori. Insomma penso a delle persone che dovrebbero saper organizzare il panorama più obiettivo possibile, sottratto soprattutto agli interessi mercantili che sono la morte del¬ l'arte». E nessun rischio di arte di regime? No, secondo Scialoja, se ad essere chiamato è un vero artista che crede nell'autonomia dell'arte come fatto spirituale. Dello stesso parere è, ovviamente, un pittore come Concetto Pozzati che da dieci mesi è assessore alla cultura al Comune di Bologna. «Gli artisti debbono essere molto interessati - dice -. Perché è ora che comincino a gestire e far gesti¬ re le Istituzioni pubbliche dove sono necessari metodi e idee che non appartengono né ai critici né a gruppi di potere, politico o partitocratico». Che Pozzati voglia creare un sindacato? E quali sarebbero poi gli artisti «giusti»? «Ma per carità - scoppia a ridere -. Penso che considerando l'Istituzione come una responsabilità sociale, anche l'arti- sta debba calarvisi, ma non più ideologicamente». Allora è definitivamente tramontata l'immagine del creatore isolato, incompreso, lontano come l'albatros di Baudelaire? «L'artista deve essere contro la catalogazione e l'omologazione, non contro il museo se il museo è vivo». Enrico Baj è stato invitato, ma come Paolini non andrà a Venezia. «La Biennale che ci ha chiamati è quella di "sempre gli stessi", cioè gli artisti che hanno i Santi in Paradiso» confida con una punta d'amarezza sdegnata Qualche nome? «Schifano, Vedova, Santomaso, Ceroli. La fruizione dell'Arte la si può lasciare in mano ai burocrati o affidarla agli Artisti. E penso che dovrebbero esser loro ad occuparsene, ma la giornata veneziana in questione non mi ispira alcuna fiducia. Non ho nessuna voglia di sorbirmi gli autoelogi di presidenti e commissari». Quanto a Paolini e ai concettuali che per principio rifiutano impegno e interessi civili, Baj ricorda loro che «un concettuale come Platone indicava nei sapienti i migliori governanti». E la sua ricetta per la Biennale? Baj non rinuncia alla polemica: «Tagliare raccomandazioni e privilegi. Nominare competenti che la smettano una politica vergognosa di acquisti e assegnazioni di premi non all'altezza della situazione. Pur avendo esposto Cezanne, Modigliani, Picasso, Matisse e artisti dello stesso calibro, la Biennale non ha mai acquistato nessuna loro opera. E sa perché? Per comprare le opere dei raccomandati». Paola Decina Lombardi Scialoja: io parteciperei. Baj: troppi santi in Paradiso wm m uh w li u 1990, Biennale scandalo: un'opera di Koons viene sfregiata Gianluigi Rondi e a destra Toti Scialoja

Luoghi citati: Comune Di Bologna, Italia, Venezia