«Il mio posto a un intellettuale» di Alberto Papuzzi

«Il mio posto q un intellettuale» «Il mio posto q un intellettuale» Chiamparino: ma nessuno vuole accettarlo Il SEGRETARIO DEL PDS TORINESE ■TORINO O segretario del pds torinese ritiro la mia candidatura a deputato». Sergio Chiamparino, il dirigente fuori dagli schemi di partito che circa un anno fa ha condotto in porto la vittoria di Castellani a sindaco di Torino, deve fare i conti, alla vigilia della competizione elettorale, con l'occupazione dei collegi da parte di dirigenti dei partiti alleati ma anche con la diffidenza di molti intellettuali ad accettare la candidatura. La sua non è una rinuncia, bensì una sfida: per convincere i partner di alleanza progressista a fare altrettanto e per convincere gli intellettuali che esitano a candidarsi a scendere in campo. Ai progressisti torinesi hanno già detto no personaggi come Gianni Vattimo e Gustavo Zagrebelski, mentre è incerto Franco De Benedetti. La decisione di Chiamparino è stata presa dopo la lettera di tredici intellettuali torinesi contro il sistema «intollerabile e stalinista» con cui verrebbero spartite le candidature da Rete e Rifondazione, ed è stata formalizzata ieri, in una riunione convocata d'urgenza, che ha fatto saltare il pranzo ai membri della direzione torinese. Perché, segretario, vuole ritirare la candidatura? «Perché alle elezioni della Seconda Repubblica, che dovrebbero segnare il ricambio della classe politica italiana, non ci si può presentare con tutta una serie di dirigenti di partito nei collegi chiave. Passi per Bertinotti, che è un segretario nazionale, ma poi ci saremmo Rizzo di Rifondazione, Tartaglia della Rete, Ronchi dei Verdi e io per il pds. Così non va». E' una questione nazionale, non soltanto torinese: che cosa dicono alle Botteghe Oscure? «Proprio perché la situazione è ingarbugliata da molte parti, abbiamo capito che non possiamo attenderci un grande aiuto. Loro ci hanno detto di risolvere la cosa come meglio ci riesce, fermo restando che non si può far saltare un'alleanza a due giorni dalla presentazione delle candidature. Cosa su cui concordo pienamente». Ma il suo gesto è una protesta, è una provocazione? E che risultati si aspetta? «Né protesta né provocazione. Non sbatto la porta, non abbandono, non diserto. La mia è una mossa politica. Sono pronto a ritirare la candidatura o a candidarmi altrove per due ragioni: perché dirigenti di altri partiti facciano lo stesso e perché i rappresentanti della società civile si decidano a candidarsi. Il mio obiettivo è di avere entro domani sera i nomi degli intellettuali che accettano di scendere in campo per noi. Se non avvenisse ci troveremmo in una situazione di stallo». I no che ha ricevuto la sorprendono? Perché gli intel- lettuali non si fanno affascinare dal seggio parlamentare? «Io capisco che chi è convinto di dare un contributo alla società civile con la propria professione ci pensi mille volte prima di passare alla politica. Ma nel momento in cui c'è un ricambio di classe dirigente, è indispensabile che entri nelle aule parlamentari qualcuno che non ha mai fatto politica di persona. E non può essere il signor Piripacchio, altrimenti si procherebbe un depauperamento della rappresentanza politica invece che un arricchimento». Forse le contraddizioni dell'alleanza progressista sono assai poco invitanti? «Per carità, ammetto che possano apparirlo. Ma alcuni dei problemi politici che complicano le cose nella coalizione si risolvono proprio se alcune persone si decidono a entrare in campo invece che restare ai margini a fare i tifosi». Dietro il suo gesto si potrebbe leggere anche una crìtica al pds? «No. Mi sembra difficile confutare che questa volta il pds ha fatto il possibile. A parte i casi della Jotti e di Napolitano, tanti dirigenti storici hanno ritenuto giusto farsi da parte: voglio dire i Lama, i Pecchioli, i Tortorella, i Reichlin. Teniamo conto che alcuni dei parlamentari che ricandidiamo vengono proprio dalla cosiddetta società civile, come qui, nei collegi torinesi, Massimo Salvadori e Gian Giacomo Migone». Lei è ottimista? O il suo sarà un nobile gesto? «Io non vorrei che fosse un nobile gesto. Se resta tale, non serve a niente. La mia è una sfida e come tutte le sfide mi aspetto che qualcuno la raccolga». Oppure il suo è una specie di ultimatum a chi scrive lettere di protesta ma poi dice di no alla candidatura? «Non mi sogno di mandare ultimatum a chicchessia. Diciamo che è come al poker: io metto tutta la posta sul piatto e gli chiedo di farmi vedere le carte». Alberto Papuzzi «Sbaglia chi pensa di essere più utile con la sua professione» Sergio Chiamparino

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