«Quei tre una sciagura»

L'ex nerazzurro accusa i senatori Zenga, Bergomi e Ferri L'ex nerazzurro accusa i senatori Zenga, Bergomi e Ferri «Quei tre, una sciagura» Matthaeus spiega la crisi dell'Inter MILANO. Quei tre. Zenga il bauscia, Bergomi lo zio, Ferri il tessitore. Lo spogliatoio dell'Inter è sempre stato generoso di spifferi, prodigo di talpe, ricco di baruffe. Walter Zenga, Beppe Bergomi e Riccardo Ferri ne custodiscono i segreti più scabrosi. Lo zoccolo duro di una società molle, li hanno definiti anche così. Sono gli unici che, all'epoca dell'incoronazione di Pellegrini, prestavano già servizio a palazzo. Interisti di vivaio: e, dunque, khomeinisti della maglia. Figli dei fiori e dei moccoli, Zenga è del '60, Bergomi e Ferri del '63. La vecchia guardia. Sempre in prima linea. Zenga il bauscia, l'ometto ragno in perenne (e precario) equilibrio fra classe e chiassate, vestiti firmati e vistosi, la tv in testa e sulla lingua, donne e ancora donne, un simbolo dell'edonismo reaganiarno. Bergomi lo zio, per via di quell'aria un po' burbera, da anziano della tribù, lui che a 18 anni era già campione dei mondo, una privacy blindata, il matrimonio «tardi» e senza ricami. Ferri il tessitore, abile nel nascondersi tra le frasche, vessato da un grave infortunio, impermeabile a ogni tipo di profanazione familiare, però riverito e consultato in materia di rapporti interni. Quei tre. Ieri in sella, oggi a piedi. Da modelli a bersagli. Il contratto di Zenga scade fra un anno, quelli di Bergomi e Ferri a giugno. Ma davvero la vecchia guardia è buona per il macero? E davvero l'acquario dell'Inter è infestato da pescecani? Ne parliamo con Lothar Matthaeus, 33 anni a marzo, l'ultimo trascinatore, quattro stagioni, uno scudetto-record, una Coppa Uefa e poi, il 12 aprile 1992, un grave incidente (al ginocchio) e un divorzio quasi clandestino, nell'afa d'agosto. «Quando leggo la formazione dell'Inter, e poi sbircio la classifica, ho le allucinazioni - ci dice al telefono da Monaco di Baviera -. Per essere a 9 punti dal Milan, bisogna che i giocatori si facciano la guerra, che non remino tutti insieme». Succedeva la stessa cosa anche ai suoi tempi? «Di sicuro, anche ai miei tempi lo spogliatoio era spaccato. Da una parte, Zenga, Bergomi, Ferri e Beppe Baresi. Quelli cresciuti nel grembo "materno". Dall'altra, noi avventizi. Io, Brehme, Klinsmann, Battistini, Bianchi. E in mezzo, Berti: Nicola era come il vento, un giorno spirava verso di noi, il giorno dopo verso di loro». Differenze sostanziali? «Il mio partito era per un calcio d'attacco. Il loro, per la solita minestra, difesa e contropiede». Tutto qui? «Per il clan di Zenga, carissimo ragazzo, impagabile compare, ancora oggi fra i primi tre portieri in Italia, sbagliavano sempre gli altri. Meglio, sbagliava sempre e soltanto Matthaeus». E per lei? «Sbagliavamo tutti». Insomma, una polveriera. «Esatto. Anche se la situazione precipitò dopo i Mondiali '90». In che senso? «Non mi chieda perché, ma Zenga, all'improvviso, prese a trattarmi con distacco, a farmi le pulci». E invece glielo chiedo. «Forse per la delusione di averli persi. O forse per invidia, visto che proprio io li avevo vinti. E dire che non feci nulla per seminare zizzania». Troppi privilegi, si scrisse. «Sciocchezze. La verità è che i giocatori non sono tutti uguali. Ancora oggi, se chiedo di raggiungere Lolita a Ginevra, Beckenbauer, il mio allenatore al Bayern, mi ci manda al volo: e davanti a tutta la squadra». Zenga, Bergomi, Ferri: chi è il più leader? «Senza offesa, nessuno. Il più leader ero io. Me li caricavo sulle spalle, parlavo al presidente, li spronavo, discutevo di tattica con il Trap. Baresi del Milan, ecco un altro capo. Perché, amico mio, capi si diventa dando l'esempio, e non facendo l'imbonitore». Bergkamp potrà mai diventarlo? «Temo di no. E' una persona chiusa, un campione freddo». L'esonero di Bagnoli? «Premesso che pure Bagnoli è un tipo chiuso, come si fa ad addossargli tutte le responsabilità di un simile fallimento? E come si fa a sparare su Pellegrini? Bagnoli mi deluse all'epoca del mio infortunio: non si fece mai vivo, mi ignorò. Ma che c'entra lui, oh bella, se i giocatori fanno gli indiani?» Sino a giugno c'è Marini. «Lo stimo, farà bene. Quando Orrico diede le dimissioni, andai da Pellegrini e gli dissi: scelga Marini, ha polso, vede lontano, non se ne pentirà». Sia sincero: è ora che la vecchia guardia smobiliti? «Forse sì, ma prima farei un ultimo tentativo. Tutti in una stanza, pane al pane, e pazienza se i lampadari oscilleranno. Se è vero che l'unione fa la forza, sono i litigi, spesso, a fare l'unione». Ma Zenga, Bergomi e Ferri riusciranno a cambiare mentalità? «L'ha cambiata Trap, perché non dovrebbero riuscirci loro?». Roberto Beccantini LE CARRIERE IN CIFRE Nato a Milano il 28/4/60 Ha esordito in A l'11/9/83 in InterSampdoria 1-2. In campionato ha difeso la porta nerazzurra 316 volte subendo 272 reti. Coppa Campioni 2 presenze e 2 gol, Coppa Uefa 63 (52), Coppa Italia 73 (71), una partecipazione (vincente) alla Supercoppa italiana (edizione '89). Ha vinto anche lo scudetto '89 e la Coppa Uefa '91. Nato a Milano il 22/12/63 Ha esordito in A il 22/2/81 in InterComo 2-1. Terzino destro, ha disputato 378 partite di campionato (21 gol segnati), 6 di Coppa Campioni, 6 di Coppa Coppe, 68 di Coppa Uefa, 90 di Coppa Italia (4), la Supercoppa italiana '89. Ha vinto la Coppa Italia '82. Nello stesso anno campione del Mondo in Spagna con la Nazionale. Ha esordito in A l'11/10/81 in InterCesena 3-2. Stopper, vanta 281 presenze (6 gol) in campionato, 2 in Coppa Campioni, 4 in Coppa Coppe, 52 in Coppa Uefa (1) e 63 in Coppa Italia (1). Insieme con Zenga e Bergomi ha vinto lo scudetto nell'89, la Coppa Uefa nel '91 non c'era nella Supercoppa italiana edizione '89.