Africa bel suol di magia

«Sapevano curarsi con salassi e fuoco. Divenni un mago» Un nobile nelle colonie: torna il libro che stregò Karen Blixen Africa, bel suol di magia^ // medico amico di predoni e streghe Cài ERA una volta un Re». j Incomincia come una fiaba. E qualcosa di magico percorre ogni pagina di .—I Un medico in Africa, autobiografico racconto di Alberto Denti di Pirajno, pubblicato nel 1952 da Neri Pozza, tradotto in diverse lingue, amato da Karen Blixen, ora riscoperto e ripubblicato dalla stessa casa editrice. C'era una volta un re, dunque. Si chiamava Vittorio Emanuele III. Era piccolo e forse invidioso dell'altissimo cugino Duca d'Aosta. Tanto geloso da spedirlo a controllare le colonie in Africa. Con il Duca si imbarca anche un ufficiale medico. Era Denti di Pirajno, nato a La Spezia nel 1886 e morto nel 1968. Partì nel '24 per la Libia e nelle colonie rimase fino al '43. Benché destinato poi a incarichi importanti, come quello di prefetto di Tripoli, l'ufficiale, in quanto medico, ebbe accesso a ogni segreto di popolazioni abituate a curarsi con salassi o bottoni ardenti e strabiliate dal potere delle sue polverine, delle sue pastiglie, delle sue siringhe. Ed egli, tanto aristocratico quanto amichevole, tanto curioso quanto poco invadente, fu viaggiatore del quotidiano, delle piccole vicende all'interno di un grande periodo storico. In Libia, Eritrea, Somalia, Etiopia, frequentò sceicchi e briganti, berberi e Tuareg, pastori e fattucchiere, stregoni e soldati, contrabbandieri e mendicanti. Attraverso loro, prediligendo villaggi e tende alle capitali, riuscì a raccontare un'Africa fantastica, avventurosa e quieta. Perché riproporlo oggi? Spiega l'editore, Mario Spagnol: «Per la qualità del libro. E' una perla letteraria, su un tema pochissimo trattato». Singolare personaggio quel nobile, autore tra l'altro di un Gastronomo educato, opera di un raffinato gentiluomo piuttosto che di uno specialista. Racconta Spagnol: «Ho conosciuto recentemente l'uomo che fu direttore della telefonia in Eritrea. Mi disse: Ho conosciuto Denti. Veniva a messa con un leone al guinzaglio». Tutto vero: era il cucciolo che aveva guarito e che gli si era affezionato. L'avventura dell'ufficiale medico incomincia nell'ambulatorio di Buerat el Hsum, nella conca della Sirte, fra militari che cantano «La Croce di guerra ad memoriam/ il Minister ti negò/ perché ti basta quella di legno/ che il battaglion ti piantò». La gente è abituata a curarsi nei modi più assurdi. Mal di testa? Basta tagliarsi la fronte e lasciar scivolare via un po' di sangue. Ed è allora stupefacente l'effetto di una pillolina del tebib, il dottore. Tutti gli si aprono perché in lui riconoscono il potere di scacciare la Tab'a, la Persecutrice, che porta malanni, infelicità, morte. La Tab'a è feroce: può accadere che lo sposo venga reso impotente proprio nella prima notte di nozze. Forte del privilegio non richiesto, il medico-antropologo passeggia a suo agio fra miserie e felicità, superstizioni e buonsenso popolare, timori, orgogli, dignità e malizie. Una principessa di casa Savoia viene in visita alle colonie e incontra un battaglione di ascari libici. Stupita dall'ottimo italiano, la principessa chie- de alla moglie di un graduato come abbia fatto a impararlo così bene. E l'altra, più compiaciuta che candida: «Oh, Altezza, io ho fatto tanto tanto puttana con signori ufficiali». Al di là della battuta, il medico scrittore coglie il ruolo vero, il potere sociale della donna africana. Ma i rapporti fra i sessi sono comunque ancorati a valori primitivi. La donna ama l'uomo forte, ribelle all'autorità e ai soprusi. Un'anziana confida di aver cinque figli maschi. E' orgogliosa. Perché? Perché sono tutti e cinque in galera. E spiega: «Lo sai come partoriamo? Quando ci colgono i dolori ci levano in fretta gli orecchini, i braccialetti, gli anelli e le collane: altrimenti il bambino appena nato ci porterebbe via tutto». Denti di Pirajno assiste alle prodezze di fattucchiere e santoni. Come Fusùda, che gioca, in una microdanza erotica, con gli scorpioni più velenosi: li accarezza, li solletica, li rinchiude in bocca con la mortale coda che si agita fuori dalle sue labbra, li lascia scorrazzare sulla pelle, li si- stema sul seno o fra le cosce. Ma non la pungono: lei conosce il loro segreto. L'ambulatorio è anche osservatorio antropologico, dove sfilano genti diverse eppure dignitose nella fedeltà allo stregone italiano. Il medico chiede che gli venga tessuto un tappeto. Il prezzo è 300 lire. Due mesi dopo il tappeto arriva, perfetto, splendido. Insieme ci sono 25 lire: il «preventivo» era stato troppo alto. Devozione, riconoscenza segnano l'autore. La figlia di un ca¬ po beduino è malata. Il dottore, affidandosi più all'esperienza, alla logica e all'intuizione che agli esami clinici, stabilisce che è tifo. Un'iniezione salva la ragazza, seppur tra febbri violentissime. Passano tre anni. Arriva da lui un giovane con una lettera. L'autore della missiva è il capo beduino che gli spiega: il messaggero vorrebbe sposare la ragazza, ma è lui, il tabib che le ha salvato la vita, a dover dire se acconsente. L'aristocratico Denti di Pirajno non si sente né benefattore né padrone, né superiore né altruista. Accetta i rapporti che si instaurano in quanto naturali, insiti nelle tradizioni. Così è con l'infermiere cristiano Gemberié, efficiente e razzista. Gemberié odia gli ebrei al punto di opporsi al medico che vorrebbe far lavare i suoi abiti da una bella lavandaia ebrea. Neanche un fazzoletto, impone l'infermiere, perché le loro mani sono lorde del sangue di Gesù. Denti gli fa notare che la piccola lavandaia non era ancora nata quando crocifissero il Messia. Niente da fare: tutti gli ebrei sono responsabili della morte di Cristo, anche quelli che ancora devono nascere. Africa magica, soprattutto. A volte la sola medicina poco può contro le credenze popolari. Così ecco Hagg Hamed, convinto di avere un serpente nel ventre. Non c'è modo di convincerlo che ciò è impossibile. Il medico incarica l'infermiere di procurarsi un serpente, fa al paziente un'anestesia, gli pratica un taglio sull'addome e lo ricuce. Al risveglio lo tranquillizza: «Ecco il serpente, te l'ho tolto». Non è l'unica benevola truffa. Un ras abissino s'accorge che i suoi desideri sessuali non trovano risposta nel fisico stanco. Che fare? Ecco un estratto di erbe vegetali dalla garantita inefficacia. Ma più di tutto potè l'autosuggestione. L'ufficiale medico racconta pagine alla Kipling, con la caccia a un elefante, pagine di battaglia, ma non disdegna le arguzie della provocazione. A un nano con la gobba, in ambulatorio, una ragazza chiede carognesca come mai sia incinto. E l'altro pronto: «Può darsi davvero che io resti incinto, o fuoco mio. A te non potrà mai capitare perché sui sentieri battuti dalla folla non spunta mai l'erba». Infine, divenuto prefetto di Tripoli, Alberto Denti di Pirajno riceve un ordine: consegnare la città al generale Montgomery. Obbedisce. Quando, dieci anni dopo, pubblicherà il libro, Karen Blixen chiederà di incontrare questo viaggiatore aristocratico ma non altezzoso il cui destino fu segnato da un piccolo re che aveva un cugino molto alto. Marco Neirotti «Hai guarito miafiglia. Ora soltanto tu puoi dirci se è giusto che sposi questo giovane» «Sapevano curarsi con salassi e fuoco. Divenni un mago» # l \ j£ & Qui accanto: # l'infermiere Gemberié l \ con la moglie. Nella foto in alto: j£ Denti di Pirajno (a sinistra) con ti & generale Montgomery (a destra) Sopra: Karen Blixen. A sinistra: il medico con il Duca d'Aosta