Monumenti nei parchi Deturpano il verde

polemica. Architetti contro le sculture moderne: anche quelle per la Resistenza polemica. Architetti contro le sculture moderne: anche quelle per la Resistenza Monumenti nei parchi? Deturpano il verde itINA bella passeggiata nel (I parco, tra un boschetto di | aceri, un ameno ponticello, I I un laghetto con pesci e ani^Lì tre (Salinger adorava quello di Central Park) e, alla fine del sentiero, un colosso metallico di qualche tonnellata. Si infittiscono, per i frequentatori di giardini pubblici, gli incontri con le sculture contemporanee. Monoliti a forma di freccia, enormi vele, archi di bronzo. A volte le dimensioni sono pari solo allo stupore che suscitano sul volto dei passanti. In un recente libro sulla storia del giardino pubblico in Europa (Per i piaceri del popolo, Zanichelli), l'architetto Franco Panzini punta l'indice contro la pesantezza e la retorica di tante opere: «Non sono contrario alle sculture - dice - ma basta con le sopraffazioni all'ambiente. Non bisogna rovinare il verde pubblico in nome dell'arte, sennò ci rimettono entrambi, l'arte e i parchi». Oltre alle grandi «produzioni» contemporanee, Panzini chiama in causa i monumenti alla Resistenza: «Hanno devastato tante aree alberate, sottratto agli abitanti delle città spazi di incontro, di socializzazione e meditazione. Ricordo un giardino di Pesaro, la città in cui sono nato: era modesto ma piacevolissimo, con al centro una grande vasca, dove i bambini si riunivano a giocare. Venne annullato, negli Anni 60, da un monumentale ammasso di ferraglia. Adesso nessuno lo frequenta più, è diventato uno spartitraffico gigante». La sua denuncia è condivisa da Federico Zeri: «Sculture moderne nei parchi? Le trovo orrende, anche se si tratta di belle sculture. Orrende e costosissime. Nei parchi gli amministratori pubblici farebbero bene a trattare meglio le piante». Gli fa eco Paolo Pejrone, allievo del grande Russel Page che ha ideato, tra l'altro, il giardino dell'Aga Khan in Costa Smeralda, il parco dell'Excelsior al Lido di Venezia e i giardini della Bicocca (la nuova città alle porte di Milano). Pejrone mette in guardia contro nanetti, cagnolini, astrolabi in giardino: «La statua nel parco non è nel mio stile, ma quando ho qualche opera eccellente la utilizzo volentieri. Ma dev'essere bella davvero: o il meglio o niente. Le grandi opere in bronzo, in genere, sono da evitare: materiali, costruzione, trasporto costano carissimi». Anche Ada Segre progetta giardini, ma non è molto d'accordo: «Amo le sculture nei parchi, quando sono proporzionate, ben inserite nel paesaggio: ai Boboli, ad esempio, le sculture moderne non ce le vedo proprio. Invece stanno bene nei parchi ottocenteschi: pensi a villa Glori di Celle, in provincia di Pistoia, la più grande collezione di sculture moderne all'aperto». Davvero le grandi sculture sono un piacere per il «popolo»? O non soddisfano soprattutto la megalomania di scultori e assessori? Alessandro Tagliolini, direttore di un centro studi sui giardini a Pietrasanta e scultore egli stesso, nega: «Uno dei problemi è che gli scultori hanno sempre più bisogno di spazi espositivi, ma non mi faccia parlar male della mia categoria. Io credo nei giardini d'arte, perché nel verde non basta sistemare le piante. Anche se di Boterò gli Champs-Elysées forse non avevano bisogno». E' dunque così difficile mantenere il precario equilibrio tra conservazione e sfruttamento del verde pubblico? Paolo Portoghesi, maestro nella riflessione sul rapporto fra natura e architettura, è scettico: «Le sculture moderne nei parchi sono una cosa di per sé abbastanza pericolosa - spiega Portoghesi -. Un tempo la scultura era compagna stretta dell'architettura. Poi è diventata un'arte da museo. Ecco perché 0 rapporto degli scultori con gli spazi aperti è diventato difficile. Specie se si tratta di sculture senza destinazione precisa, prese dagli studi degli scultori solo per liberarsene e dar loro un posto in un parco. Altra cosa è se l'opera è stata pensata per stare in mezzo al verde. Il Comune di Roma ha da poco trasformato un angolo anonimo della periferia in un bel piazzale, con grandi vasi antichi. L'effetto è bello. Non lo è invece quello creato dalle sculture davanti alla Galleria d'arte moderna di Roma, o dalla sfera di Pomodoro davanti al ministero degli Esteri: in quell'enorme spazio sembra proprio una ciliegina sulla torta». Portoghesi, però, non è contrario per principio alle sculture nel verde: «In Italia c'è una grande tradizione di giardini popolati di statue, dì immagini umane. Non diamo agli amministratori altre scuse per ignorare l'arte moderna, ne trovano già abbastanza da soli». Valorizzare la scultura «en plein air» e rispettare il verde è dunque possibile e doveroso. E gli esempi non mancano: il «Musée de la Sculpture en plein air» di Parigi, il monumento ai caduti in Vietnam di Washington. «Per gli esperimenti caserecci - spiega Panzini - è una lezione di profonda efficacia e sensibilità. E' un graffio nel terreno, un'incisione nel verde che non non turba il paesaggio; non ci sono sviluppi verticali». Insomma, avanti con le statue, ma con giudizio. Senza lasciare che prevalga l'«effimero», come accadde ai parigini davanti al giardino del Palais-Royal, descritto alla fine del '700 da Mercier e ripresa da Panzini: mentre il duca faceva cadere gli alberi sotto la scure, dai presenti si levarono «vivi clamori». Ma «dopo che il pubblico ebbe ben gridato, e quando vide gli alberi abbattuti, quello fu tutto. Pareva infatti ai parigini (che agiscono con la solita precipitazione)... che quel luogo, grazie alla metamorfosi operata dal proprietario, avrebbe offerto per il loro gradimento uno spazio di passeggio ben superiore al precedente». Carlo Grande Paesaggisti criticano nanetti, cagnolini e «ammassi di ferraglia» Zeri: opere orrende, meglio occuparsi delle piante. Portoghesi: no alle «ciliegine sulla torta» twmÈ Boterò agli ChampsElysées. Sopra, Federico Zeri e Paolo Portoghesi. A destra, il monumento ai caduti in Vietnam