Berlusca il Reagan della Brionia

Massima attenzione al controlio dell'immagine Dibattiti in pubblico solo se preparati Berlusca, il Reagan della Brionia La «macchina del consenso» come alle presidenziali IL CAVALIERE E L'EX PRESIDENTE SROMA E si scioglie il fiocco e si strappa il cellophane, se si guarda dentro il kit, la scatola magica della campagna Berlusconi, un intenso aroma di cose già viste si sprigiona immediatamente per chi abbia seguito da vicino la politica elettorale americana in questi anni: nella scatola di Berlusconi c'è profumo di Ronald Reagan. Non di Ross Perot, acido profeta dell'austerità e dell'apocalisse fiscale americana, usato a torto come paragone per Silvio Berlusconi. Non certo di Clinton, profugo di un '68 che sovente affiora nelle sue parole, se non nei fatti. La strategia, la tattica, le tecniche di comunicazione e persuasione che Silvio Berlusconi ha adottato finora sono figlie di quel Ronald Reagan licenziato nel 1976 dai politologi come un «buffone da caroselli», e un «attorucolo disoccupato» e destinato a diventare, per due volte, plebiscitario Presidente degli Usa nell'80 e nel '84. Ammirato più tardi addirittura dalla sinistra europea. Proviamo dunque a esaminare, pezzo per pezzo, adoperando proprio gli utensili delle campagne elettorali di Reagan, la «macchina del consenso» che Berlusconi sta abilmente costruendo e che tanto sorprende solo chi non ha altra esperienza elettorale che non siano le «Tribune Politiche» o i manifesti appiccicati nella piazza del paese. Tutto quello che Berlusconi sta facendo, è già stato fatto da Reagan. E tutto quel che ha fatto, ha già funzionato, sia pure in climi e nazioni diversi. Può essere respinto o accettato. Denigrato o esaltato. Ma va, prima di tutto, capito. Vediamo. IL «NOI COKISO TUTTI». E' l'attacco ai grandi mezzi di comunicazione altrui, dipinti come «ostili» e «faziosi». Non fu certamente un'invenzione di Reagan, né del Berlusconi di oggi. Anzi, è un classico della lotta politica usato spesso in passato dai comunisti quando spiegavano ogni insuccesso elettorale con «la vergognosa campagna senza precedenti condotta contro di noi da stampa e tv». Ma la novità scoperta da Ronald Reagan e ripresa da Berlusconi è il risentimento anti-liberal che cova nell'opinione pubblica moderata, delle maggioranze silenziose, contro le élites dei mass media. Reagan intuì nel 1980, e Berlusconi ha intuito oggi, che dopo i grandi scandali politici, dopo le grandi crisi nazionali, l'opinione pubblica moderata tende invariabilmente a rivoltarsi contro i media-istituzione, contro la stampa vista come «quarto potere» che si è arrogata il diritto di fare politica. In America, lo scatenamento di giornali e tv contro la destra, culminato nel Watergate, li aveva esposti ai sospetti di «militanza» che Reagan sfruttò. In Italia, il risentimento contro la Rai, prima lottizzata e poi accusata di «kabulismo» offre a Berlusconi un comodo bersaglio rinforzato dall'odio per il canone. Reagan non aveva tv proprie, né giornali fiancheggiatori, ma il meccanismo è identico: se si riesce a definire i media non fiancheggiatori come «faziosi» o di «parte», le loro critiche eventuali sono esorcizzate a priori. Dunque nulle. IL CONTROLLO DELL'IMMAGINE. Dopo aver visto per anni i politici subire la tirannide delle telecamere, i reaganiani decisero di girare la tavola e di essere loro i tiranni delle tv. Michael Deaver, Roger Aisle, Ed Rollins, David Gergen, i grandi architetti del volto pubblico di Reagan, controllavano minuziosamente le apparizioni del loro candidato. Costruivano per lui le luci, lo sfondo, il trucco, i colori, la scena, il pubblico, la posizione delle telecamere. Disegnavano per terra col gesso le posi¬ zioni e i movimenti dei piedi, come nelle scuole di ballo. Distribuivano con cura i personaggi del «pubblico», dosando uomini e donne, neri e bianchi, vecchi e bambini, secondo le circostanze. Nulla doveva essere lasciato al caso, neppure l'ora delle apparizioni all'aperto che andavano fatte solo nella luce più lusinghiera, mai con la pioggia, meglio se verso sera, quando il rosso della luce ammorbidisce i tratti e sfuma le rughe. L'effetto calza voluto da Berlusconi per la sua famosa videocassetta è figlio di quelle tec¬ niche di persuasione pubblicitaria e di sceneggiatura. EVITARE I DIBATTITI. «Chi vive di immagine, di immagine può morire», ricordava a tutti nel 1980 Michael Deaver, il «mago» delle pubbliche relazioni reaganiane. I consiglieri di Reagan accettarono di mandare in campo il loro campione solo quando lo giudicarono perfettamente preparato a tutte le possibili e prevedibili domande. Fu così che Reagan, poco esperto di questioni economiche, notoriamente smemorato, un po' avanti negli anni, distrusse il monotono Jimmy Carter ripetendogli a ogni attacco una frase fatta ma efficace: «Eccolo che ricomincia, il noioso» e tagliò le unghie, 4 anni dopo, a Mondale, più giovane, che lo incalzava sul tema dell'anagrafe, ribattendo soavemente: «L'età è importante, ma non userò mai la troppo verde età del mio avversario come argomento contro di lui». Berlusconi sta seguendo lo stesso copione: parteciperà a dibattiti aperti solo quando sarà pronto, quando riterrà utile farlo o dannoso il non farlo. Come Reagan non vuole né rischiarsi in discussioni incontrollabili, né «bruciare» la sua faccia sul teleschermo, spezzando nella sovresposizione l'incantesimo della sua «diversità» dagli altri. IL LIETO FINE. Tutti gli uomini di spettacolo sanno che il pubblico adora il lieto fine, anche se improbabile o irrealistico. Lo sapeva Reagan, alla fine dei duri Anni 70, lo sa Berlusconi, alla metà di questi amari Anni 90, di crisi economica e di depressione umorale in Italia. Reagan ieri, e Berlusconi oggi, sono dunque portatori soltanto di «buone novelle», di messaggi rassicuranti e ottimistici, nel segno del «feel good», del sentirsi bene. «Con me sarà di nuovo mattino in America», diceva Reagan. Vi prometto il «nuovo miracolo italiano» dice Berlusconi. «Meno tasse, meno debito pubblico e più prosperità», prometteva Reagan citando la celebre «curva di Laffer», un economista che immaginava possibile ridurre le tasse e aumentare insieme gli introiti del fisco. «Meno tasse e lavoro per tutti», offre ora Berlusconi dalla tribuna della sua convention. «Non ha importanza che la promessa sia realizzabile - scrisse più tardi Roger Aisle, grande stratega reaganiano - importa che la gente ne tragga conforto. I malati vogliono la speranza di guarire». L'olMKRO DEL MALE». Una forte «minaccia rossa» è indispensabile al successo di questa strategia, è il collante che unisce le contraddizioni delle proposte politiche e dell'elettorato a destra. Per vincere, Reagan mise assieme i voti dell'estrema destra repubblicana - quasi fascista - con i voti degli operai, dei colletti blu democratici e sindacalizzati: la minaccia sovietica fu il ponte sul quale camminò la sua maggioranza. In assenza di Breznev, Berlusconi deve agitare il meno credibile pericolo della «marea rossa» occhettiana per convincere i centristi a votare per lui, nonostante la Lega, e i leghisti a votare per lui, nonostante il solidarismo centrista. LA SEMPLICITÀ' DI LINGUAGGIO. «Ogni volta che perdo il voto di un sociologo o di un editorialista del New York Times ne guadagno dieci fra la gente», amava ripetere Reagan e i fatti gli diedero ragione. La scelta della semplicità del linguaggio, dell'immediatezza della comunicazione anche a costo di apparire «semplicistici» sono scelte strategiche fondamentali nelle società di massa e soprattutto nelle elezioni maggioritarie nelle quali poche migliaia di voti fanno la differenza fra il trionfo e la disfatta. Le lezione reaganiana della «banalità come sostanza» è stata finora capita appieno solo dal team berlusconiano nella confusa, esasperante, logorroica campagna elettorale italiana. Ma è stata una scelta cosciente, deliberata, questa fatta dal «Reagan della Brianza», di ritagliare la propria campagna elettorale sul cartamodello della fortunatissima strategia del Presidente americano? O è invece la forza obiettiva dell'analisi di marketing, delle strategie commerciali applicate alla politica, del sistema maggioritario, che porta a definire un piano di battaglia forzatamente simile a quello che Reagan tracciò per vincere? Sarebbe interessante chiederlo a Silvio Berlusconi stesso. Se soltanto volesse rispondere. Vittorio Zucconi Massima attenzione al controlio dell'immagine Dibattiti in pubblico solo se preparati Prima mossa contro tv e giornali «ostili» A sinistra Reagan e la moglie Nancy nel 1980, sotto Ross Perot, avversario di Clinton Sotto Berlusconi, a destra supporter di Reagan al congresso di Dallas A sinistra Reagan e la moglie Nancy nel 1980, sotto Ross Perot, avversario di Clinton

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