Elezioni esplode la moda dei Babau di Filippo Ceccarelli

A Elezioni, esplode la moda dei Babau / «ghigni» della sinistra, i '■ «urli» della destra LA POLITICA E LE MASCHERE LROMA ARGO dunque ai «cattivacci». O almeno a quelli che come tali son vissuti dagli avversari. Aiuto!. C'è D'Alema, di cui è bastata la vista delle mani («esibite come una bandiera») e della faccia in tv per convincere Berlusconi a «scendere in campo». Sì, D'Alema col suo «ghigno vendicativo», i «baffi sottili che gli tremavano - nell'orripilato resoconto di Sua Emittenza - per una specie di sconcia allegria»; un D'Alema quasi letterario, tra «I demoni» e «Addio Kira» (o «JVbi vivi»), così «concentrato sulla distruzione, sulla negazione e sull'irrisione», che alla fine ti stupisce quasi non indossi il giaccone di cuoio della Ceka, o non impugni almeno il knut sgocciolante sangue di kulako. Prossimamente al potere. Brr. «Tutto è preferibile - aveva del resto già ammonito l'ex direttore del Popolo Fontana - piuttosto che essere governati da D'Alema». Ma tant'è. La questione è che abbondalo e vanno moltissimo, adesso, i «cattivacci». Ce n'è dappertutto. Babau progressisti e spauracchi del polo della libertà uniti nel duplice ruolo psicologico e propagandistico di eccitare e spaventare gli animi. Se vince D'Alema, che ha il tic di soffiarsi sulla punta delle dita, minaccioso e pallido come un lenzuolo, quello non ride mai, altro che Occhetto, lo gnomo... Se vince D'Alema, il gelido... Già. Ma se vince il missino Buontempo, il mostro della destra? Qui la trasfigurazione si nutre di calori, colori e sudori e ha l'andatura concitata - e per la verità in certi casi anche un po' buffa - del sabba. Musi di naziskin, caccia ai viados e ai lavavetri ((cAì semafori vogliamo essere 1 •' in pace»). Urla gutturali .. violenza allo stato brado. Sai che delizia farsi governare da uno che ha assaltato il Parlamento, ha scagliato un bicchiere di vetro addosso al consigliere Bernardo, un uovo in faccia all'onorevole Michelini e ha inseguito il povero, pacifico sindaco Signorello fin dentro uno sgabuzzino. E in fondo poco importa se dopo aver scambiato due parole con «Erpecora» ti resta la sensazione di avere incrociato un esemplare del populismo nero in astuta versione post-televisiva. Così come - inevitabilità dei paragoni che scontentano chi li fa e chi li subisce - è del tutto trascurabile che il gelido D'Alema si sia presentato con la bimba in collo a piazza San Pietro, abbia cortesemente espresso la sua preferenza per Lorella Cuccarmi (contrapposta a Sabrina Salerno) o una volta sia stato quasi preso a pretesto per una memorabile «magnata» ai Castelli romani: «Il compagno D'Alema farà un discorsetto, ma più che altro si mangia, si beve e si discute». Eppure a sinistra Buontempo resta un incubo e a destra D'Alema un irrimediabile scannabambini. Dalla Liberazione in avanti, d'altra parte, la fenomenologia dei «cattivacci», eredità di un passato così duro a morire da risultare, in fin dei conti, una specie di costante del temperamento nazionale, ha sempre previsto una quota di figure presentate come attraverso una lente deformante e quindi percepite dai nemici ideologici con un sovrappiù di irrazionalità. In questa specie di teatrino dell'odio c'era Togliatti «orientale», per dire, o Sceiba «mafioso», e così via, via fino all'«orco» Craxi (con tanto di identificazione di una esperta di letteratura favolistica come Francesca Lazzarato) o di Nino Andreatta, grande nuclearista, «il dottor Stranamore». E certo ora sarebbe bello poter dire: bene, dopo la caduta del muro eccetera eccetera, la nuova stagione della democrazia italiana rinunciò ai suoi babau. Invece no. Oggi tocca osservare che questo bizzarro censimento di mostri umanoidi e sogni oppressivi, purtroppo, prosegue. E che in particolare, oltre a D'Alema, i moderati temono più del normale un ex giudice e un prete, due figure poco chiassose e molto determinate, per un unico incubo di tipo inquisitorio. Anche con la partecipazione straordinaria di Cossiga, infatti, che chiamò il primo Vyshinskij e paragonò il secondo a un gesuita centroamericano di qualche secolo fa, il pidiessino Luciano Violante e padre Ennio Pintacuda, anima della Rete, sono altri due irrecuperabili e spaventosi «cattivacci». Che lo siano veramente è impossibile da stabilire e poi, al limite, anche secondario. Quel che importa semmai è il marchio fulminante, quel che conta è che questo marchio pare fatto di ruoli, occhi, facce, gesti, suoni, elementi che affondano in una dimensione sconosciuta alla politica. La stessa, comunque, prossima al mondo dei simboli e assai distante da ogni forma di ironia o giovialità, che sull'altro fronte ha reso provvisoriamente babau (babau per un giorno) l'onorevole leghista Leoni Orsenigo, quel ragazzone che ebbe la graziosa idea di sventolare un cappio nell'aula di Montecitorio. Perché a pensarci bene lo spauracchio non ha quasi bisogno di parlare: si capisce - e spaventa - lo stesso. Non ha neanche bisogno di gesti troppo plateali. Un candidato interessante in questo senso è l'avvocato e deputato leghista Borghezio, che appena entrato a Montecitorio piantò una grana perché la biblioteca non possedeva le opere di Miglio (altro auto-demonio ad honorem) e una volta uscito ne piantò un'altra perché s'era accorto di un cantiere abusivo che stava restaurando il palazzo. Bene, Borghezio, che è sceso anche in guerra contro mendicanti e venditori baby di accendini, sta costruendo la sua immagine di duro attraverso un'interminabile, pignolissima sequela di micro atti d'attacco, senza mai la luce si direbbe, per ora - del dubbio o della pietà. Un aspirante metodico, dunque. Ma ne vale la pena? Filippo Ceccarelli «Er pecora» Buontempo Violante «Vyshinskij» Pintacuda Torquemada QUELLI CHE TANNO TAURA A v-:-:-:-:::v: : ■ ■ ■ . Nella foto sopra il titolo il de Mario Sceiba, odiatissimo ministro dell'Interno nel dopoguerra