Pio XII difensore di Ebrei

Società' e Cultura Rivelazioni da Londra: protestò in segreto, fermò le deportazioni Pio XII, difensore di Ebrei // suo silenzio fu un trucco nazista Ea I sempre stata l'accusa più " bruciante, nel dopoguerra, per il Vaticano: il silenzio di Pio XII sulla de_ 1 portazione degli ebrei romani. Ne era nato il dramma famoso di Hocchuth, «Il Vicario». Gli uomini del Papa avevano reagito, dagli archivi vaticani erano uscite le note che raccontavano della convocazione dell'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Von Weizsaecker, e della protesta a lui consegnata dal cardinale Maglione, segretario di Stato. Il gesuita Robert Graham, puntiglioso ricercatore di carte vaticane ed esperto di segreti delle Cancellerie di tutto il mondo, si affannò a produrre documenti e ragionamenti in difesa di Papa Pacelli. Giovanni Battista Montini, allora arcivescovo di Milano, aveva risposto duramente con un articolo sul settimanale cattolico inglese The Tablet. Da Papa, poi, nel suo viaggio a Gerusalemme, parlando in zona israeliana, alla Porta di Mandelbaum, aveva fatto un accenno di difesa di Pio XII. Nel buio della sera, dal non folto gruppo degli ebrei che ascoltavano erano saliti dei fischi. Insomma, quella storia del «silenzio» di Pio XII rimase in piedi. Il mondo credette a Hocchuth e non al Vaticano. Ora, a conferma di quanto è sempre stato sostenuto dalla Santa Sede, esce una testimonianza dal Foreign Office di Londra, ripresa dallo storico Anthony Rhodes nel libro II Vaticano e le dittature. La nota, redatta alla fine dell'ottobre 1943, è del rappresentante del governo inglese in Vaticano, Francis Osborne. Il diplomatico riferisce come il cardinale Maglione avesse convocato Weizsaecker per presentargli formale protesta del Vaticano contro l'arresto degli ebrei nel ghetto romano e come l'ambasciatore tedesco avesse poi bloccato la deportazione di altri. «Ho chiesto al Vaticano continua il rapporto - se potevo riferire quanto sopra al mio ministro degli Esteri. Mi è stato risposto che potevo farlo, purché l'informazione fosse considerata "personale" e in nessun modo da rendere di pubblica ragione, in quanto la pubblicazione di queste notizie condurrebbe a rinnovate persecuzioni». Dalla pubblicazione delle note dello stesso Weizsaecker si ricava che, parallelamente, anche l'ambasciatore tedesco, di fronte alla protesta del cardinale Segretario di Stato, aveva chiesto di non farne parola con Berlino e di lasciare a lui di attenuare l'ordine di deportazione. Il ragionamento era che, per l'azione del Papa, Hitler in persona si sarebbe sentito offeso e avrebbe potu¬ to reagire con nuovi ordini di deportazione. Dopo aver ascoltato con imbarazzo la protesta di Maglione, Weizsaecker aveva detto al cardinale: «Io penso alle conseguenze che provocherebbe un passo della Santa Sede. L'ordine proviene dall'ultima istanza (Hitler). Mi dà, Eminenza, la libertà di non dare atto di questa conversazione ufficiale?». Maglione, sotto il ricatto di questa minaccia, perché non fossero arrecati altri guai agli ebrei, diede il suo consenso con riluttanza. Weizsaecker, invece, usò l'autorizzazione del cardinale non per tacere la protesta, ma per riferirla in modo che a Berlino si credesse che il Papa non aveva protestato. «Il Papa - scrisse l'ambasciatore tedesco al suo governo - benché importunato da più parti, secondo quanto si dice, non si è lasciato spingere ad al¬ cuna dichiarazione dimostrativa contro la deportazione degli ebrei di Roma». Fu da questa scaltra mistificazione diplomatica (dispaccio del 28 ottobre 1943) che nacque la storia del «silenzio» di Pio XII. Weizsaecker parla di Papa «importunato» per questa vicenda del rastrellamento degli ebrei romani, avvenuta il mattino del 16 ottobre 1943. Si conosce un episodio che rivela uno di questi importuni. Anzi si tratta di una importuna: la principessa Enza Pignatelli, che, in quanto nobiltà nera, aveva allora dimestichezza con i palazzi apostolici. Al mattino presto di quel 16 ottobre, la principessa fu svegliata da una telefonata. Un'amica che abitava vicino al Tevere la chiamava con voce concitata per dirle che i tedeschi stavano arrestando le famiglie ebraiche del vicino ghetto e che le caricavano sui camion. L'amica chiedeva alla principessa di recarsi immediatamente dal Papa per vedere che cosa si potesse fare. In quel momento la Pignatelli non aveva un mezzo di trasporto. Superato il primo momento di esitazione, pensò di ricorrere a un modo sicuro. Chiamò l'ambasciata tedesca presso la Santa Sede, chiedendo che le fosse messa a disposizione un'auto per recarsi dal Papa. Un funzionario, che poi confermò l'episodio, si affrettò a recarsi in automobile presso la principessa. Così la Pignatelli, commenta padre Graham, che narra il fatto, «si recava in Vaticano nella macchina di un governo antisemita, accompagnata da un funzionario del Reich, per protestare presso il Papa contro un'azione antisemita». Dopo un breve giro per verificare che le SS erano veramente in azione nel ghetto, l'auto entrò in Vaticano. Nessuno nel palazzo apostolico sapeva nulla. La principessa si precipitò dal Maestro di Camera e chiese di vedere immediatamente il Papa. Pio XII aveva appena terminato di celebrare la Messa e rimase molto impressionato dalla notizia. Disse che i tedeschi gli avevano promesso che non avrebbero toccato gli ebrei. C'era già stata a questo scopo la richiesta di cinquanta chili d'oro alla comunità ebraica da parte di Kappler, comandante delle SS, e che egli, il Papa, su preghiera dei maggiorenti degli ebrei, si era impegnato a fornirne dodici chili mancanti. Pio XII, alla presenza della principessa Pignatelli, prese il telefono e chiamò il cardinale Maglione. Gli disse di convocare l'ambasciatore tedesco e di preparare subito la protesta. Domenico Del Rio Kappler chiese al Ghetto 50 chili d'oro Ne mancavano 12, li fornì Papa Pacelli Una scena di «Roma città aperta». A destra, Papa Pacelli: protestò presso l'ambasciatore tedesco tramite il segretario di Stato, cardinale Maglione Sopra il commediografo Hocchuth