Contestatore solitario in concerto c'era una volta la filodiffusione

Contestatore solitario in concerto; c'era una volta la filodiffusione lllilll \ il -: lettere AL GIORNALE Contestatore solitario in concerto; c'era una volta la filodiffusione «Un tenore sull'orlo del ridicolo» Mi rivolgo al pubblico dell'Auditorium di Torino: alcuni amici mi hanno redarguito ritenendo eccessiva la mia contestazione all'esecuzione di Dos Lied von der Frde di Mahler tenutasi giovedì sera e «firmata» dal maestro Barshai. Ho risposto che si è trattato di una reazione spontanea ed emozionale (ma non immotivata), come dovrebbe essere per contro ogni applauso di approvazione. Considerato anche che la mia contestazione non ha avuto alcun seguito in sala, intendo spiegarne le ragioni al pubblico. Non sta a me indicare puntualmente i luoghi maggiormente lacunosi dell'esecuzione di giovedì, ma la scarsa coesione dell'orchestra, gli attacchi sistematicamente imprecisi, il tenore sull'orlo del ridicolo e soprattutto il tempo e il colore esasperatamente monotoni della direzione mi hanno spinto a considerare un dovere l'esprimere il mio dissenso per un concerto troppo al di sotto delle capacità dell'Orchestra Rai. Perché dico «dovere»? Durante la prova generale del suo concerto torinese il maestro Muti ha esortato il pubblico a stare vicino alla sua orchestra. Gentile pubblico dell'Auditorium, stare vicino alla propria orchestra vuol dire saperne sottolineare le prove migliori, non permettendo che si confondano in mezzo alle meno felici, vuol dire dialogare con essa: non facciamo un buon servizio alla nostra orchestra se, oltre ad abbonarci alla Stagione, le regaliamo un abbonamento all'applauso, se apre generoso, uguale, d'ui/.eio, sempre tre uscite sul palco di direttore e solisti, le risparmiamo il disagio del «rimbrotto» ma le togli-m 'a gioia esaltante di un vero succ asso, la gioia di veder riconosciuta come tale la serata magica, la possibilità di ripeterla sempre più spesso, per sé e per il suo pubblico. Stefano Tarsiz, Leini (Torino) Ancora abbonato nonostante i black-out Da trent'anni (quando a Torino fruivo dei primi collegamenti sperimentali) tengo accesa la filodiffusione tutto il giorno e finora mi sono rifiutato di seguire l'esempio di tanti utenti (che peraltro comprendo benissimo) i quali, scocciati dal persistente malservizio, hanno disdetto l'abbonamento. Innumerevoli sono infatti le interruzioni di trasmissione, a volte perche dalla Rai non giunge il segnale in centrale, altre volte a causa della Sip incaricata di inviare tale segnale ai singoli abbonati tramite il cavo telefonico. Oltre a motivi occasionali di forza maggiore (rottura di cavi o altri incidenti) accade che a giorni ed ore pressoché fisse, sovente il venerdì, l'apparecchio (nostro e degli altri utenti della zona) si faccia muto e, nonostante la pronta segnalazione al 182, può capitare (come nel weekend 22-23 gennaio) che non riprenda a funzionare che il lunedì. Gli ottimi addetti al 182 sono encomiabili sempre per gentilezza e anche per sollecitudine nell'intervenire quando rientri nelle loro competenze, caso rarissimo, per cui il disservizio permane. Com'è possibile che la Sip continui a comportarsi in modo così inqualificabile senza alcun controllo anche da parte della stessa Rai che dovrebbe assicurarsi della buona e continua distribuzione dei suoi programmi di filodiffusione? La ragione di tanta noncuranza verso l'utenza è probabilmente lo scarso profitto che la Sip realizza con questo servizio; com'è noto i 144 rendono ben di più. Occorre però tener presente che la filodiffusione è essenziale per poter ascoltare tutti i programmi di Radiorai che, data la voluta anarchia vigente nell'etere, sono difficilmente captabili con apparecchi normali in cui si sovrappongono le emittenti private più o meno qualificate. La filodiffusione inoltre offre, con il 5° canale, la possibilità di ascoltare musica classica anche a coloro che non possono permettersi concerti, costosi impianti e l'acquisto frequente di dischi e CD. La Sip (che gode dei vantaggi del monopolio) e la Rai (che usufruisce del contributo statale) sono tenute a farsi carico anche di questo aspetto e non solo del profitto. Dopotutto Berlusconi con Tele+ 3 ha dimostrato che, se ben gestita, anche la cultura ha audience, indice di gradimento e capacità di promozione. Luigi Caula, Portici (Napoli) Industria farmaceutica e fedeli di Ippocrate Il Papa suggerisce ai farmacisti l'obiezione di coscienza nella vendita dei contraccettivi, al fine di «tutelare la salute morale» dei cittadini. L'«obiezione di coscienza» che, come cittadino, vorrei invece fosse non solo propaganda¬ ta, ma resa obbligatoria, riguarda la categoria dei medici e la tutela della nostra salute fisica (nonché quella morale dei medici stessi e degli industriali). Vorrei che i medici, fino ad oggi così spesso compiacenti con le industrie farmaceutiche, obiettassero e si ribellassero a quella che è divenuta una prassi consolidata: l'accettare regali, spesso di valore assai notevole (come ad esempio viaggi all'estero in alberghi di lusso) o anche altri tipi di gratificazioni personali dalle industrie farmaceutiche, in cambio della prescrizione dei prodotti di queste ultime. L'appello non si rivolge naturalmente a tutti i medici, che di medici fedeli al giuramento di Ippocrate ne esistono ancora, ma a tutti quelli, non pochi, che (cito dai giornali) si arricchivano prescrivendo ai pazienti il prodotto delle aziende che li pagavano; ed anche a quelli che, pur senza arricchirsi, non disdegnavano qualche «segno di riconoscenza». Sarebbe bello che l'ordine dei medici facesse spontaneamente questa operazione «mani pulite», senza attendere l'arrivo dei giudici, già comunque preannunciato. L'azione corruttrice, forse a volte criminale, svolta dalle industrie farmaceutiche lede gravemente non solo il nostro portafoglio, ma anche e soprattutto la nostra salute. Fabrizia Pratesi, Roma La virtù di morire più povero del padre Alla fine dell'ultimo conflitto mondiale molti di noi hanno sperato nella realizzazione di quegli ideali di libe.-'.à e di pace a lungo calpestati. Speranze deluse, che dovrebbero dissuaderci, oggi, dal credere di raggiungere in tempi brevi ciò che non abbiamo conquistato sotto la spinta di quel sofferto anelito. Avevamo sognato una vera democrazia retta da due grandi partiti, sfrondati di frange e correnti a difesa, da una parte, di tutti i diritti umani e civili e, dall'altra, della libertà di essere ed avere. Speravamo nella tutela di una legislazione contro ogni illecito profitto a garanzia di amministrazioni corrette, e sempre e comunque in difesa del più debole; in una Magistratura rigorosamente apolitica, in fonti di informazione indipendenti ed infine in una Chiesa non interferente nella cosa pubblica con movimenti di parte. Io credo che la gestazione oggi in atto per il raggiungimento di questi obiettivi non sarà né facile né breve e potrà essere condotta a termine non dalle nuove ideologie e dalle lotte di partito ma da uomini onesti e preparati. Uomini diversi, vicini alla figura di Antonio Grattarola, un mio caro congiunto, coraggioso patriota insieme a Ferruccio Parri, il quale rifiutò di candidarsi nel suo partito e, tornato alla sua professione, si limitò a esprimere il proprio pensiero sul giornale La voce libera. Quando scomparve, gli amici e i colleghi scrissero di lui «... è morto più povero di quanto lo ebbe a lasciare il buon padre suo». Spesso rileggo i suoi articoli per le sorprendenti intuizioni sulla situazione italiana di oggi e per la saggezza dei suoi ammonimenti. Il suo esempio è stato per me il sostegno di tutta la vita e la mia vera ricchezza. Rosangela Grattarola, Genova Gli anni parigini di Monachesi Nella mia recensione alla mostra di Monachesi (La Stampa di ieri) è uscita - per un taglio redazionale - la frase: «Il segreto dell'aereopittura degli anni parigini». Monachesi non ha mai fatto aereopittura a Parigi. Io scrivevo soltanto che un desiderio di levità caratterizzò anche la pittura, peraltro depurata ed essenziale, degli anni parigini. Federica Pirani

Luoghi citati: Genova, Leini, Napoli, Parigi, Roma, Torino