I boia hanno un nome è ora di dirlo

r LETTERA A VOLCIC / boia hanno un nome è ora di dirlo ■Hi I ARO Demetrio, proprio per la vecchia amicizia anche etnica che da tanti anni ci lega (ambedue uomini di frontiera, ambedue mezzi italiani e mezzi slavi, ambedue figli e nipoti di padri e nonni austroungarici) ho deciso di esprimerti, con queste due righe in pubblico, il mio triste rammarico per il fuggente commento televisivo che dal tuo telegiornale del sabato sera hai dedicato alla memoria dei 68 morti e alla commiserazione dei 200 feriti di Sarajevo. Ho detto commento. Ma, essendosi trattato di un intervento ridotto all'osso, un minuto circa, dovrei forse dire postilla minima e anodina: un flebile sospiro di rassegnazione evasiva, assolutamente inadeguato a conferire all'ultimo atto dell'interminabile dramma bosniaco lo spessore di verità, oltreché di pietà, che esso in questo atroce momento reclama da tutti noi. Purtroppo, guardandoti e ascoltandoti sempre più esterrefatto, non ho potuto fare a meno di domandarmi: perché Demetrio, che è cresciuto a Trieste, che è di origini slovene, che ha fatto parte dei suoi studi a Lubiana, che parla e legge correntemente anche il jerbocroato, che certamente conosce nei particolari le cause e il meccanismo della guerra balcanica in atto, perché mai Demetrio glissa sulla verità e, in questa sua imbarazzata nota a pie' di pagina sotto lo scempio, non nomina mai, neppure in forma dubitativa, i serbi e la Serbia? Nel tuo velocissimo guizzo televisivo hai ceduto, anche tu, alla lacrima facile e all'ipocrisia delle simmetrie. Hai parlato di un generico «partito della morte» che percorrerebbe trasversalmente ed equamente le tre etnie in guerra, hai quasi lasciato capire che è da questo macabro «partito» trino e anonimo che sarebbe piovuta la granata su Sarajevo e, infine, hai sospirato sull'iniquità imbelle dell'Occidente alla quale proprio tu, con la tua sfuggente postilla, davi in quel momento voce e omertà. Ma tu, certamente, non puoi non sapere che è da due anni I che i mortai e i cecchini serbi I sparano sui civili di Sarajevo, e che da due anni i serbi continuano a ripetere che sono i musulmani a sparare contro la propria gente, contro la propria capitale, contro il proprio governo. Anche quando colpivano Ragusa, in cui nel Cinquecento operò un tuo avo cartografo, essi seguitavano a dire che erano i croati a colpire se stessi per gettare sui serbi la responsabilità e il discredito delle bombe. Sono convinto che tu non voglia, coi tuoi silenzi e le tue omissioni, giustificare la logica rovesciata di Zhirinovskij, il nazistalinista russo che giorni fa benediceva le rovine di Vukovar, in Slavonia, sostenendo che quella città ex croata era stata rasa al suolo dai croati nel 1991. Sono però preoccupato nel vederti imprigionato nella gabbia di un'autocensura che non ti s'addice e che, impedendoti di nominare per nome i veri autori della strage, finisce per negarti l'uso della chiarezza necessaria a contestare e a condannare le cupe invenzioni degli Zhirinovskij e dei Milosevic. So che lavorare in Rai non è facile. So che l'andreottismo di sinistra vi ha messo radici che oggi tendono ad approfondirsi negli antichi alvei di un neutralismo finto e gesuitico, di un pietismo terzomondistico indeterminato e di maniera, di un machiavellismo lagrimogeno di cui la ex Jugoslavia è da oltre due anni la cavia più tragica. Ma almeno tu Demetrio, tu che le cose le sai, dovresti dirle con coraggio fino in fondo. La conpetenza professionale e biografica, che certo non ti manca, è un'arma che noi, col nostro rigore carsico d'italiani dell'Est, abbiamo sempre saputo usare contro le astuzie e le sottigliezze dei «regnicoli» della penisola. Su, impugnala alla prossima strage bosniaca, chiamando cose e persone per nome, e vedrai che non ti accadrà probabilmente nulla. Ricordati che la natura dell'andreottismo di sinistra è duplice e gommosa: condiziona quando può, ma inghiotte e abbozza quando non può condizionare. Perdonami la schiettezza e sappimi sempre tuo amico. Enzo Betti za izaj i

Persone citate: Enzo Betti, Milosevic, Zhirinovskij

Luoghi citati: Jugoslavia, Lubiana, Ragusa, Sarajevo, Serbia, Slavonia, Trieste