Che vita nel Nord leghista di Masolino D'amico

A Roma la farsa di Gianfelice Imparato «Casa di frontiera» A Roma la farsa di Gianfelice Imparato «Casa di frontiera» Che vita nel Nord leghista Allegri bozzetti con la regia di Proietti ROMA. Il primo testo teatrale post-leghista è una piacevole farsa scritta e anche interpretata dal giovane attore Gianfelice Imparato. Vi si immagina un futuro in cui, avvenuta la scissione dell'Italia in più nazioni, certi meridionali trapiantati in Padania sognano di essere assimilati agli indigeni, e mentre aspettano di superare i controlli e gli esami previsti, si esercitano a mimetizzarsi. Così Gennaro Strurnmolo si fa chiamare Ghenny Strumm, millantando una lontana origine tedesca, e sua sorella Addolorata è diventata Dolores; lui nasconde i capelli scuri sotto una parrucca rossiccia, lei cucina risotto allo zafferano e quando ci sono i nordici abbandona il severo vestito nero per una tuta, fingendo di fare ginnastica. La «Casa di frontiera» del titolo è quella dove abitano i fratelli, nella zona degli immigrati, che ogni mattina alle quattro delle camionette vengono a prelevare per portarli a dei lavori da cui si rientra solo per essere nuovamente rinchiusi nel ghetto. Di fronte c'è il confine con il settore dei milanesi, con i quali Gennaro tenta di fare conversazione dal balcone della finestra, ostentando un improbabile accento meneghino e cercando di ignorare i sassi e i rifiuti di cui ogni tanto il bambino dei dirimpettai lo bersaglia. Le ispezioni periodiche sui progressi della coppia nel settore dell'integrazione sono condotte da una severissima ispettrice veneta, davanti alla quale Gennaro tenta di far passare per l'idraulico il fidanzato della sorella, meridionale impenitente che gira con la chitarra e una teglia piena di «sasicce». Il risvolto naturalmente è che l'ispettrice perde la testa per il sudista piccolo e nero, il quale focosamente la ricambia, mentre il povero Gennaro, frustrato senza colpa nei suoi tentativi per assimilarsi, e mentre la sorella finisce per diventare una signoraccia di via Montenapoleone, rientra nel grembo materno. Il finale ce lo mostra allestire un presepe segreto dentro la credenza, e tirare davanti alle finestre uno spudorato filo di indumenti ad asciugare. Lo avrete capito, non ci troviamo davanti a un emulo d; Cecov, ma piuttosto a uno sketch da rivi- I sta dilatato in due tempi (di 50' e 40' rispettivamente); come tale lo ha saggiamente diretto Gigi Proietti, esortando Silvia Polidori scenografa e costumista a vestire i personaggi in modo esagerato, improbabile. In ogni caso, il pubblico sta molto volentieri al gioco, che come di prammatica in questi casi è tenuto in vita più che da una struttura narrativa di qualche saldezza, da una serie di variazioni sul tema di solito accettabilmente spassose, anche grazie al garbo dei quattro interpreti, che oltre al buffo, marionettistico Imparato sono Marioletta Bideri come la poco convinta sorella, Gigi Savoia come il tracotante fidanzato fedifrago di lei, e Sandra Collodel come una vikinga nostrana dalle gambe lunghissime e dalla freddezza pronta a squagliarsi al primo assaggio delle alici in tortiera. Buonumore, insomma, fra gli spettatori del Parioli, in prevalenza giovani; e repliche fino al 13 febbraio. Masolino d'Amico Gianfelice Imparato durante lo spettacolo

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