L'ultima «jacquerie» dei poveri dell'Oceano di Barbara Spinelli

I/ultima «jacquerie» dei poveri dell'Oceano I/ultima «jacquerie» dei poveri dell'Oceano L'INCENDIO BRETONE LPARIGI A Francia non s'accorge mai quando la Bretagna si ribella e diventa parricida. La Francia è Parigi, e Parigi ha sempre diffidato dei propri mari, li ha sempre visti con ritardo e con sospetto. La Francia è una quasi penisola, circondata da cinquemila chilometri d'acqua, e tuttavia la sua identità non cessa di essere terrestre, estranea al mare. Così è stato fin dall'inizio del regno capetingio, e nel Quattrocento durante la ribellione delle Leghe frondiste contro Parigi, e nella Rivoluzione francese, quando bretoni e abitanti della Vandea tentarono la secessione e furono massacrati. Così è apparso ancora una volta nei giorni scorsi, a Rennes. Inorriditi, ministri e parlamentari si sono precipitati nella capitale bretone e hanno visto con i propri occhi quel che giudicavano impensabile: una città in guerra civile, con barricate e violenze, con urla, con feriti e rivoltosi che non ascoltano più nessuno, solo il fragore della propria sordità. Nella notte fra venerdì e sabato si consumava in un incendio il Parlamento di Bretagna e la sua biblioteca: un edificio mitico della regione, costruito nel Seicento sotto Enrico rv, simbolo di un'alleanza sempre fragile con Parigi ma anche di imbronciate separatezze. Le fiamme, rapide, hanno avvolto le statue delle quattro virtù che dalle cime del Parlamento proteggevano la Bretagna, terra malcontenta. La collera bretone è di ritorno. La collera dell'Oceano contro la terra, scriveva Victor Hugo. La Bretagna è malcontenta come son malcontente altre regioni di Francia, e d'Europa: la Lorena per esempio, con le sue miniere spente, o Marsiglia con il porto agonizzante, o le vaste terre agricole dove non si può più coltivare oltre un certo limite perché non c'è spazio bastante nei mercati. Una rivoluzione industriale è in corso, da molto tempo, mestieri antichi e antiche tradizioni sono travolti da una corrente che nessun responsabile politico descrive, che nessun governo riconosce come tragica, oltre che ineluttabile. Né è dato sapere cosa precisamente verrà, dopo la rivoluzione: quali nuovi mondi, quali nuovi gusti, quali nuovi paesaggi. Scompaiono i metalmeccanici, in una Lorena dall'aspetto ormai spettrale, con le sue fabbriche museali in rovina; sprofonda il mestiere di agricoltore. E scompare il marinaio pescatore, segno distintivo della Bretagna e della Vandea. L'apertura del mercato europeo e le frontiere abolite accentuano le difficoltà bretoni, la concorrenza dei surgelati importati dal Nord Europa, dall'Inghilterra, dai Paesi Scandinavi, dalla Russia e dalla Polonia accende la collera dei pescatori contro ogni cosa straniera ormai. Di qui il loro odio per Bruxelles, e la persistente domanda rivolta al governo: che le frontiere si chiudano, che la nazione si protegga e si separi. Ma il mercato aperto non spiega tutti i mali, e per curarli non basta chiudere un po' più le frontiere. I mestieri svaniscono lo stesso, la rivoluzione va avanti comunque. Il mare puoi dividerlo in lotti ma non offre quasi più pesce, e quando lo offre è spesso contaminato da veleni. Non sono più visibili le sardine, le acciughe, gli sgombri, e solo le imprese di surgelati si salvano perché pescano al largo e impiegano i marinai non più come artigiani, ma come impiegati. Anche il gusto dei consumatori è cambiato. L'uomo d'oggi oltre a non amare più molto l'automobile è carnivoro, forsennatamente, mangia in fretta, vuol riempirsi presto. Il pesce non è per questo fine secolo, non riempie. C'è anche questa paura oscura nelle «jacqueries» brevi e violente dei pescatori bretoni, o nelle rivolte croniche degli agricoltori francesi: paura di una mutazione radicale, paura di future guerre civili tra corporazioni e tribù assediate dentro la stessa nazione, e candidate a esser tribù assistite. «Niente di durevole è stato mai ottenuto con la violenza e l'eccesso», ha detto venerdì a Rennes Edouard Balladur, ancora una volta disvelando la cecità del potere centrale, la lentezza mentale di Parigi la terrigna: la rivolta dei marinai pescatori non è razionale, dunque non è; è perdente, dunque non è né ragionevole, né spiegabile. Come se le rivolte e le «jacqueries» esplodessero per ragionare meglio, o per vincere. Scoppiano per motivi contrari invece, sono opera di perdenti, di chi reclama identità già perdute. Le «jacqueries» sono sorde agli appelli di Balladur: «Farò il possibile perché l'armonia torni tra i francesi», ha promesso il primo ministro, come se compito dei politici fosse di creare armonie, e non di far convivere cittadini che spontaneamente si separano, e in tempi di crisi litigano. Questa fede in armonie prestabilite e razionali è all'origine dell'ennesimo malinteso fra Parigi e la Bretagna, fra terra e oceano, fra centro e periferia. «Lugubre malinteso», scriveva Victor Hugo a proposito dell'insurrezione della Vandea, e degli «chouans» di Bretagna, tre anni dopo la Rivoluzione. Lugubre malinteso perché la Bretagna partecipò con convinzione ai preparativi rivoluzionari, nel 1789, e scelse la ribellione armata quando si accorse che Parigi era del tutto indifferente alle proprie tradizioni di autonomia municipale, alla propria cultura politica e religiosa. Lugubre malinteso anche oggi: perché la Bretagna non è ostile all'Europa comunitaria, non è contro l'unità nazionale e le tradizioni della Repubblica integratrice. In occasione del referendum sul Trattato di Maastricht, la gran maggioranza in Bretagna e Van¬ dea ha scelto la Comunità, più che in altre regioni di Francia. E poche settimane fa, quando Parigi ha ospitato l'ingente manifestazione per la scuola laica e repubblicana, erano ancora i bretoni in prima fila, a chiedere una Repubblica più forte, e meno tribale. Questi messaggi tuttavia non sono stati ascoltati, né dai politici di destra né da quelli di sinistra, ed è così che la Bretagna si è messa a navigare per proprio conto, come impazzita. Tutte e due, destra e sinistra, sono state colte di sorpresa dalla ribellione di Rennes e delle città costiere di Francia, ribellione non nata dal nulla. Sono state sorprese le sinistre, che inebriate vorrebbero mettere a profitto ogni disperazione, ogni tribù. Ma sono stati colti di sorpresa anche i politici di destra che governano, le forze d'ordine che hanno reagito male, lentamente. Qualche settimana fa, i politici hanno visto sfilare, a Parigi, centinaia di migliaia di francesi, invocanti la Repubblica e la laicità. Tutti stupefatti, hanno guardato i manifestanti dal balcone e si sono detti: è una grande festa della Repubblica, ecco i francesi felici di vivere insieme, e assai più fedeli a ciò che li unisce laicamente che non ai singoli istinti tribali. Invece non si festeggiava la Repubblica, nella manifestazione parigina: si chiedeva Repubblica, perché la Repubblica nella grande mutazione odierna vacilla. Non era una festa, ma una supplica. E sono sempre quei supplici, inascoltati, che nei giorni scorsi hanno incendiato biblioteche, e antichi memoriali bretoni. Ci sono molti provocatori che hanno voluto Los Angeles a Rennes. Ci sono anche «ipocriti a sinistra», come ha detto il ministro degli Interni Pasqua: è vero che socialisti e comunisti hanno approvato entusiasticamente la rivolta, per ora piangere i feriti e gli incendi. Ma c'è stata soprattutto sordità a Parigi, e un lungo lugubre malinteso. Il Sessantotto cominciò così. Tutte le fronde e le «jacqueries» francesi son cominciate così: con un grido di malcontento, che degenera in parricidio, o regicidio. Barbara Spinelli Il malcontento cresce in molte regioni della Francia Il Parlamento di Rennes avvolto dalle fiamme. In alto e a sinistra scene di violenza nelle strade della città [FOTO EPA]

Persone citate: Balladur, Edouard Balladur, Victor Hugo