Amico dei suoi nemici di Mirella Serri

Amico dei suoi nemici Amico dei suoi nemici Chiamò antifascisti alla Treccani Ha lasciato un'eredità «segreta» EIFORMATORE, sistematore, hegeliano, ideologo dello Stato fascista, padre spirituale di Gramsci, teorico del pensiero liberale, «affarista», corruttore e intellettuale. Tante facce per il filosofo e uomo d'azione Giovanni Gentile. «Davvero numerose anime affiorano in Gentile», sostiene Luciano Canfora che nel b'bro La sentenza (Sellerio), ricostruisce alcune tappe del percorso del filosofo e gli ultimi anni della vita. Dice Carfora: «Lui, liberale, era convinto che la vera attuazione del liberalismo fosse nel fascismo. Ma la sua adesione al regime non fu a tutto tondo: tra le varie tendenze scelse lo statalismo autoritario, ma patì un periodo di emarginazione piuttosto che plaudire ai Patti Lateranensi. Per Gentile era un mezzo tradimento dello Stato risorgi¬ mentale. Peraltro le sue difficoltà con la gerarchia fascista nascevano anche da quello che i suoi avversari nel regime chiamavano "affarismo", cioè la sua capacità imprenditoriale. Il suo monumento è l'Enciclopedia Treccani. Furono chiamati a collaborarvi studiosi anche privi della patente di lealtà al fascismo, come Levi della Vida e Gaetano De Sanctis, che furono tra gli undici professori che rifiutarono il giuramento di fedeltà al regime imposto da Gentile stesso». Ricorda Canfora: «Il 24 giugno '43, nel discorso del Campidoglio, Gentile sostenne che i comunisti erano corporativisti impazienti, cercando di influenzare i suoi scolari che stavano andando verso l'antifascismo, come Cesare Luporini. Nel '44 si diede privatamente da fare per salvare dei giovani partigiani. Ovvio che alcuni sospet¬ tassero che dietro la sua morte violenta vi fossero non i partigiani ma fascisti mascherati». «Gentile filosofo del fascismo è un'immagine riduttiva - afferma lo storico Gabriele Turi che pubblicherà su Belfagor di marzo un saggio dedicato al filosofo -. Bisogna recuperare le riflessioni che svolse su Marx, sul ruolo di Rosmini e Gioberti nella tradizione culturale italiana. Con Croce e con 0 suo storicismo ruppe maturando l'attualismo. Ma i fini rimasero gli stessi: unificare la nazione e fare gli italiani. E il fascismo, in quanto "inveramento del liberalismo", gli parve lo strumento appropriato per realizzarlo». Massimo Cacciari non ha dubbi sul valore teorico del pensiero di Gentile, senza per questo minimizzare i suoi comportamenti politici: «Nell'attualismo la storia si risolve nell'atto dello spirito, il divenire del pensiero è l'unica attività concreta e si manifesta storicamente». Ma qual è la parte fragile del pensiero di Gentile? «Li sua interpretazione del Risorgimento - risponde Cacciari - come compimento del processo di unificazione nazionale. Il punto di vista di Gentile, centrahstico e totalitario, esclude ogni istanza di tipo federalistico, tiene conto di Rosmini e Gioberti ma dimentica Cattaneo». Mirella Serri Da sinistra, Massimo Cacciari e Luciano Canfora