Colpi bassi sul velluto di Filippo Ceccarelli
Colpi bassi sul velluto Colpi bassi sul velluto Da Fanfani a Pertini, Craxi e Andreotti vera regina è stata invece la ripicca /QUANDO Fanfani fece il i A suo quinto governo 1 1(1982) sbarrò la strada ad ■ ■Andreotti. Quando più VJ tardi toccò ad Andreotti V di installarsi a Palazzo Chigi, fece lo stesso con Fanfani. Occhio per occhio, veto per veto. Quando nelle riunioni socialdemocratiche negli Anni Settanta interveniva Tanassi, che un giorno gli aveva mancato di rispetto, Giuseppe Saragat apriva rumorosamente il giornale e si metteva a leggere. Rappresaglia carica di disprezzo. Quando fu radiato dal pei il gruppo del Manifesto (1969), venne richiesto proprio a Ingrao, che più lo aveva difeso, di scrivere un editoriale di condanna dell'Unità. Rivalsa con pallidi risvolti di costume terzinternazionalista. Quando infine De Martino, a sorpresa, affondò il governo Moro (1976), lo statista de non gli volle più parlare. E in qualche modo questa silenziosa, ra¬ refatta, quasi privata vendetta morotea racchiude in sé tutta la leggerezza della Prima Repubblica. Perché erano al dunque vicende private, senza bagni di sangue né scenari apocalittici. Una vendettina per uno, piuttosto, non faceva male a nessuno. D'altra parte la giostra teneva in circuito tutti quanti i protagonisti. Ogni tanto qualcuno pareggiava i conti, ma senza illudersi che quel pareggio fosse decisivo per tutti. Micro-rivalse senza grandi effetti in una politica che scorreva circolare. Sì, certo, di fronte all'offensiva moralistica della sinistra sul caso Montesi (19531954), il potere democristiano rispose sullo stesso indicando al pubblico ludibrio le debolezze personali e private di uno dei moralisti della sinistra. Vittime, in mezzo secolo, ne rimasero di sicuro sul campo. Eppure, tutto sommato, fra i massacri della guerra civile e l'ondata rabbiosa che si respira oggi, fra partigiani uccisi a Piazzale Loreto e tiranni fascisti appesi nello stesso luogo, dal triangolo rosso agli sputacchi a De Michelis o alla richiesta di togliere la pensione a Pomicino e il passaporto agli inquisiti, ecco, il tempo che sta in mezzo, l'Italia della ricostruzione e poi del benessere, l'Italia dei partiti, in definitiva, non ha mai molto coltivato e messo in pratica l'idea di vendetta. Non si tratta, con tutta probabilità, di un semplice galateo. L'esistenza di una classe di governo cattolica (e in fondo, come s'è visto anche di fronte al terrorismo, tendenzialmente «perdonista») è servita a tener sotto controllo certi istinti poco nobili. Non che i de fossero santi. Dei dorotei, per dire, s'è sempre detto con una certa efficacia che «ti potevano scippare gli occhi, però poi ti davano il cane lupo per ciechi». Quando non si eser¬ citava su Fanfani, ad esempio, la malignità andreottiana, quintessenza della vendetta de, era comunque poco appariscente e perfino postuma, una specie di bisbiglio su nemici ormai caduti in disgrazia. In fondo il separatista siciliano Finocchiaro Aprile «finito ai giardinetti» era l'ideale prolungamento di quel colonnello medico che aveva scartato il giovane Andreotti perché in pericolo di vita «e poi, invece, quando ero ministro della Difesa lo cercai - spiegava Giulio con un sorrisetto cattivo - e scoprii che era morto lui». Fin troppo fredda e sofisticata, come vendetta. Tant'ò che per trovarne di più corpose e protratto nel tempo bisogna senz'altro approdare all'episodica socialista. Sandro Pertini, con il suo caratterino, sapeva benissimo che Craxi, un altro che si vantava di avere «una memoria da elefante», non lo voleva al Quirinale e l'accettava obtorto collo. Una volta eletto, pareva quasi divertirsi a fargli pesare non tanto quelle riserve quanto, soprattutto, la gioia di avercela fatta contro d; lui. Una volta, convinto che lavorasse per le sue dimissioni, Pertini spedì a Craxi un memorabile biglietto: «A brigante, brigante e mezzo». Era la vendetta preventiva, piattino da servirsi rovente. Conflitti comunque, come si vede, circoscritti a singole personalità. E' davvero piuttosto arduo interpretare vicende come il rapimento e l'uccisione di Moro sotto l'ottica della faida. Più facile, semmai, ricondurre a quella logica le stragi di mafia o, al limite, il mistero di Ustica (vendetta internazionale?). Ma a quel punto la pacifica assenza di rappresaglia cominciava a riempirsi. La mattanza dei demitiani, promessa e poi regolarmente eseguita dal Caf dopo il congresso del 1989, era solo l'aperitivo. Senza ricambio, la Prima Repubblica cominciava a vendicarsi di se stessa. Filippo Ceccarelli Sopra, Giulio Andreotti e Sandro Pertini, Sotto, Bettino Craxi
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