Di Pisa: una mezza verità di A. R.
Di Pisa: una mezza verità Di Pisa: una mezza verità «Il boss ha usato i Servizi deviati» PALERMO. Per il giudice Alberto Di Pisa, assolto in appello a Caltanissetta, dopo la condanna in primo grado a un anno e mezzo di reclusione per calunnia, è un trionfo. Una conferma delle sue tesi, quindi... «E' certo che le lettere provengono dalla mafia in senso lato, non solo come opera del braccio armato, del settore militare capeggiato da Riina, ma pure come servizi deviati delle istituzioni collusi con Cosa Nostra. Riina non ha il livello culturale per scrivere lettere con quella forma e quei contenuti, con riferimenti ad articoli di legge». Chi può averle scritte? «Non resta che l'ipotesi dei poteri occulti dello Stato, dei servizi deviati o qualcos'altro che in quel momento aveva interesse a delegittimare l'attività del pool antimafia». Fu un complotto contro di lei? «La sentenza che mi scagiona ipotizza che le lettere siano state opera di settori investigativi. Non a caso furono fatte circolare quando erano stati conseguiti risultati notevoli coi maxiprocessi e le dichiarazioni dei pentiti. Quando fui bloccato conducevo indagini che se portate a termine avrebbero fatto ottenere determinati risultati con quattro anni di anticipo». Che genere di indagini? «Stavo indagando sulla loggia massonica Diaz con iscritti magistrati, editori, mafiosi, imprenditori. Un'indagine che evidenziava l'intreccio che oggi, basta pensare a Cordova, comincia a emergere. L'inchiesta sull'omicidio Insalaco portava all'ambiente dell'Ordine del Santo Sepolcro e all'arcivescovo di Monreale, Cassisa». E il Corvo? «Se fossi il giudice delegato all'inchiesta sulle lettere disporrei subito comparazioni tra le otto impronte rilevate a suo tempo (nessuna delle quali mia) e quelle di personaggi più che mai sospettabili». [a. r.]
Persone citate: Alberto Di Pisa, Cassisa, Cordova, Di Pisa, Diaz, Insalaco, Riina
Luoghi citati: Caltanissetta, Monreale, Palermo
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