Io insegno tu non capisci di Maurizio Assalto

Tullio De Mauro all'Aci Tullio De Mauro all'Aci Io insegno tu non capisci ETORINO A scuola si preoccupa tanto di insegnare a leggere e scrivere, ma bada molto poco al capire». Non è un atto d'accusa, quello che parte dal linguista Tullio De Mauro: è una constatazione. E si riallaccia a un tratto più generale caratteristico della nostra cultura: «Abbiamo profuso ampie energie per studiare le tecniche di interpretazione dei classici, per capire come si capiscono i testi ardui e difficili. Resta in ombra il problema più radicale di come e quanto si comprendono le espressioni quotidiane. Come Newton in una famosa scena di Shaw, sappiamo calcolare con i logaritmi e risolvere equazioni complesse, ma ci troviamo in imbarazzo a dire quanto fa tre per sette». Sui problemi del linguaggio e della comprensione il professor De Mauro interverrà oggi alle 18 al Teatro Alfieri per le conferenze dell'Associazione culturale italiana (prossimi appuntamenti domani al Niccolini di Firenze, lunedì al Nuovo di Milano, martedì all'Eliseo di Roma, mercoledì all'Esedra di Bari). «Nella pratica didattica il momento della comprensione è sottovalutato rispetto a quello della produzione. Ogni tanto chi sta in cattedra chiede "avete capito?", in genere tutti rispondono di sì e si va avanti tranquillamente. Finché arriva un "rompiscatole" esterno - posso essere io, o un pedagogista che si occupa dei meccanismi della comprensione - e con una serie di semplici test ci si accorge che una o più pagine non sono state capite, che alcune parole sono assolutamente sconosciute». La cosa più stupefacente, osserva De Mauro, è allora lo stupore dei professori: «"Ma come?! L'avevamo studiato tanto bene...". Non è colpa di nessuno, in realtà. Nella scuola italiana i "rompiscatole" sono arrivati tardi; mentre nei sistemi anglosassoni, a partire da Thorndike negli Anni 30, c'è una maggiore cura per la comprensione puntuale del testo, parola per parola, e una specifica attenzione per l'arricchimento progressivo del vocabolario, come indicatore della capacità complessiva dello scolaro». Ma per capire un discorso non è sufficiente conoscere il significato dei vari termini di cui si compone. De Mauro, docente di filosofia del linguaggio alla Sapienza di Roma, lo sa bene: «I processi di comprensione sono enormemente complicati: ce ne siamo accorti quando si è tentata la traduzione automatica con il calcolatore. Nel capire le parole di un discorso noi partiamo da un bagaglio di valutazioni che vengono dall'esterno del discorso stesso. Prendiamo per esempio un dialogo fra marito e moglie. "Gianni, suona il telefono", "Mi sto lavando i denti", "Vado io": al povero computer tutto ciò sembra dissennato. Al contrario, chiunque di noi è in grado di capire, perché abbiamo presente una serie di usi e costumi, e sappiamo che cosa succede in casa quando squilla il telefono. La comprensione passa attraverso l'inserimento delle parole in un contesto di pratiche sociali e culturali note: è vero per chi legge la Critica della ragion pura, come per chi ascolta la più sciocca delle frasi». Invece tutti noi sembriamo tanti Talete, che scrutando gli alti cieli dell'interpretazione non si accorgono degli inciampi più vicini e immediati sulla strada della comprensione. «E sì che Epicuro ci aveva avvertiti aggiunge De Mauro -, quando accennava allo squilibrio esistente fra l'individualità ricca e varia delle cose e la povertà delle parole con cui ci riferiamo alle cose. E pure il Vangelo, che è un continuo richiamo alla difficoltà di capire, e alla necessità di una collaborazione fra le persone che vogliono comunicare». Ma anche questo, si direbbe, non l'abbiamo capito. Maurizio Assalto

Persone citate: De Mauro, Newton, Niccolini, Shaw, Tullio De Mauro

Luoghi citati: Bari, Firenze, Milano, Roma