La Disneyland del mistero di Furio Colombo

□ La Disneyland del mistero New Orleans, città-trappola per i turisti IL FASCINO DELLA METROPOLI «MALEDETTA» OLLYWOOD inventa tutto. Ma non ha mai inventato New Orleans. Quando la storia è torbida, quando i personaggi sono ambigui, quando il lieto fine è impensabile, gli sceneggiatori dicono: New Orleans. La ragione è semplice. La macchina efficiente e implacabile del presente americano, che non tollera il passato, considera vecchio un edificio che ha più di vent'anni e implacabilmente ricostruisce, senza riguardo al valore e alla storia, non ha avuto ragione di New Orleans, delle sue stradine ornate di ferro battuto, di finestre «alla francese», con le persiane che danno alle facciate un'aria europea antica e sonnolenta. Non si tratta di rispetto storico, che in America non esiste. E' vero, si sono salvati i quartieri storici di Boston e di San Francisco. Ma si tratta di strade ricche, di case residenziali, grandi nomi, qualche vecchia famiglia e nuove ricchezze. Ecco il mistero di New Orleans, qualcosa che non è accaduto e che - si direbbe - non può accadere altrove. La zona storica, quella salvata dal continuo processo di distruzione e ricostruzione, è anche la zona sinistra, la zona dei bar aperti di giorno e di notte in cui si consumano le vite marginali di personaggi residenziali, legati alla musica, legati a poveri spogliarelli, legati alla droga, e le sere dei turisti, attratti dal colore e giocati nel portafoglio. I turisti si difendono, come dovunque, arrivando in orde compatte, le stesse che sono capaci di cancellare la faccia di Shangai o di Firenze. Arrivano in torpedone, si fermano solo per usare la minicamera e riprendersi a vicenda sullo sfondo del quartiere, e ripartono subito. Diverso è il destino, raro ormai, del visitatore isolato. E' strano che dopo il caso di Ylenia, la figlia perduta di Romina e di Al Bano, non siano state date statistiche. Sappiamo tutti che l'America è un cassetto senza fondo, dove la gente si perde. Ma New Orleans ha un suo record: il numero delle persone perdute e mai più ritrovate, quasi sempre giovani e giovanissimi, l'età dell'adolescenza inquieta che ha fiducia nelle proprie risorse e che cerca avventura, è più del doppio del resto dell'America, anche contando le metropoli e i deserti. E' talmente radicata la persuasione di «perdersi» a New Orleans che la storia non solo si ripete in una serie di film e telefilm che comincia negli Anni 40 e continua ancora (c'è almeno un film all'anno su New Orleans che inghiotte le sue vittime nella vecchia «città francese»), ma ha avuto una sua controprova drammatica ed estremamente pubblicizzata alcuni anni fa. E' la storia del quarantenne Jack Abbott, ergastolano e promettente scrittore, che Norman Mailer aveva preso sotto la sua protezione. Era riuscito a farlo uscire dal «ventre della bestia» di una prigione del Texas, a portarlo a New York in libertà condizionata, a trovargli una stanza e un computer per consentirgli di scrivere. Mailer gli passava un piccolo stipendio, Abbott spendeva quel che poteva in droga. Una notte, su un marciapiede della Terza Avenue all'angolo con la Quarta Strada, ha pugnalato a morte un giovane poeta cubano che si manteneva lavorando in un ristorante aperto la notte. Abbott è scomparso. Ma ha lasciato nella stanzetta in cui aveva vissuto per mesi a New York uno strano romanzo che quell'anno aveva vinto il «Book Award», prestigioso riconoscimento dell'editoria americana. Era «The Confederacy of Dunces» (La congrega dei pazzi), strana storia di un John Kennedy Toole morto suicida, ambientata dentro e intorno a New Orleans. Quella minima traccia era sfuggita a tutti e il caso era stato dichiarato chiuso. Ma uno dei poliziotti che avevano ispezionato la stanza dell'assassino, non aveva dimenticato il titolo del libro, se lo era comprato, se lo era letto e aveva cominciato a disegnare mappe e percorsi di New Orleans secondo la trama allucinata del libro. Il poliziotto era un giovane colto, uno che legge. Pagina per pagina traduceva i simboli, coglieva i segnali, trasformava gli accenni bizzarri in veri luoghi fisici. Ha identificato locali, alberghi, bar aperti la notte, luoghi di finto colore che in realtà sono spacci di droga e teatrini di prostituzione. Un poliziotto di New York non può lavorare in un'altra città. Tutta la polizia americana, salvo l'Fbi, che dipende dal Dipartimento della Giustizia ed è polizia federale, ha solo una giurisdizione municipale. Quante volte si vede in un film la polizia che sta per catturare un criminale ma si deve fermare alla frontiera di uno Stato o ai limiti di una città? Ma il poliziotto di cui sto parlando non si è fermato. Si è messo in ferie, è andato a New Orleans per conto suo, ha passato giorni e notti a ripercorrere i luoghi che aveva identificato nel libro. Finché è giunto a una casa isolata, fra il mare e il delta paludoso del Mississippi, e vi ha trovato Abbott, l'assassino che credeva di essere scomparso per sempre. Ecco dunque le due anime di New Orleans, i due territori misteriosi della città: un centro storico, quello intorno a Bourbon Street, il luogo di tutte le case di piacere e le case da gioco dell'altro secolo, i locali di tutto il jazz americano fino agli Anni 50, fino all'esplodere delle grandi case di registrazione che ha svuotato New Orleans della sua musica. E il delta del fiume, fra grandi strade d'acqua e vaste aree paludose, fra zone di grande bellezza e luoghi desolati. Non sappiamo quasi nulla della vita in quei luoghi. Ma sappiamo che in quei luoghi si ambienta ogni film che cerca il losco, il decadente, il mistero. Il vecchio quartiere è sopravvissuto, credo, più per il suo valore che per la sua indiscutibile bellezza. Ma è una Disneyland a due facce, una per i torpedoni e una per gli isolati, un luogo da filmare o fotografare alla svelta come se fosse finto e il luogo nel quale ci si può perdere perché è ancora vero. E poiché è sopravvissuto al suo tempo e al suo destino e non ha mai trovato una nuova anima e una nuova ragione di esistere, la parte vecchia e fintamente poetica di New Orleans ha finito per diventare una casa inquietante di microcriminalità e di droga. Il mare è vicino, la possibilità di nascondersi infinita, le vite di coloro che transitano o abitano in quel quartiere sono troppo deboli per tenere testa. Come il trombettista mezzo diavolo e mezza vittima che adesso è tenuto in prigione quasi certamente con un pretesto o una finta denuncia, perché dica quello che sa su Ylenia. New Orleans - ricorderete era il fondale angoscioso, la città claustrofobica di esistenze fallite cercato da Tennessee Williams per il suo «Tram che si chiama desiderio». E' stata la testimonianza più alta su una città la cui bellezza racconta di destini senza uscita. Tutto ciò serve forse a spiegarci perché la polizia di New Orleans è apparsa così poco stupita della sparizione di una ragazza, è sembrata lenta e imprecisa nel muoversi e poco motivata a cercare. Dal punto di vista di quegli investigatori il fatto deve essere apparso triste e normale. E forse non ricordano di avere mai visto una famiglia che non si arrende e percorre la vecchia città strada per strada decisa a trovare una traccia. In America i giovani scompaiono senza che nessuno venga a cercarli. Nella storia di Ylenia ci sono le due anime belle e losche di New Orleans, quella della città vecchia e quella del fiume e della palude. Sono realistici i poliziotti a far capire che si tratta di una ricerca inutile. E forse avvalorano la testimonianza sul suicidio tanto per avere una ragione di fermare le indagini. New Orleans tende a non restituire, o almeno questa è la sua torbida immagine. Ma ha ragione la famiglia a non cedere. Il poliziotto di New York, di cui ho appena narrato, non ha ceduto e ha trovato quel che cercava. Forse qui manca un filo, un modo di orientare la affannata ricerca? Una cosa è certa. New Orleans è due, tre volte più straniera due o tre volte più lontana di qualunque altro luogo americano. La «città francese» intorno a Bourbon Street rappresenta in realtà una cultura meticcia nella quale vari strati di vite diverse si sono sovrapposti, dando luogo a dialetti indecifrabili, comportamenti lontani dalle tante Americhe «tipiche», un folklore che viene dall'Europa, poi dalla schiavitù, poi dai Caraibi, poi - sia pure in modo indiretto - dalle influenze ispaniche, soprattutto messicane (i percorsi di droga, i sentieri di gang). E' una città che ne contiene tante altre, ciascuna isolata e immersa in quella più grande, ma in relazione non alla città ma ad altri luoghi e culture lontani nello spazio o nel tempo. Ciò che è poco comprensibile tende a trasformarsi in «magico», ed è vissuto come tale nella persuasione di tanti, a cui il magico offre una spiegazione del loro essere diversi, del loro esistere ai margini del grande percorso americano. Ma finisce per diventare leggenda, folklore e anche propaganda turistica. New Orleans finge di essere una città misteriosa ed è una città misteriosa. Ma il mistero si trova più sul lato un po' losco che su quello grandioso della vita, è più l'ignoto di esistenze allo sbando che l'ignoto di altre civiltà e di altre vite. Quante vicende avventurose (al centro di tutte, «Easy Rider») sono passate da New Orleans nell'immaginario americano? Se fossi un detective alla ricerca di Ylenia cercherei lungo le venature di quell'immaginario, di quella magìa falsa e vera, di quella ritualità insieme turistica e creduta, e di quelle due anime opache della città che sono il quartiere «francese» ed estraneo nel cuore della città. E i percorsi del Mississippi verso il mare, quelli impetuosi e quelli stagnanti. Abbandonarsi all'anima opaca di New Orleans non significa, neppure nei misteriosi e quasi indecifrabili tarocchi che si usano per «leggere» il futuro in quella città, fatalità e morte. Nelle storie magiche tenacia e pazienza contano molto. Cercherei con un filo di speranza. Furio Colombo A fianco e sopra, tre immagini di New Orleans, città dalle caratteristiche uniche negli Stati Uniti