Fasce infami per gli invalidi civili; «Posse» non viene dal Far West di Mario Ciriello

Fasce infami per gli invalidi civili; «Posse» non viene dal Far West lettere AL GIORNALE Fasce infami per gli invalidi civili; «Posse» non viene dal Far West «Denuncerò il ministro per tentato omicidio» Ancora una volta quest'Associazione deve prendere atto di un atteggiamento contraddittorio ed ipocrita del nostro Governo. Che senso ha riconoscere l'esenzione ticket agli invalidi civili quando poi nell'organizzare il nuovo Prontuario nazionale dei farmaci si relegano nella fascia «C» di quest'ultimo, ove non sia prevista alcuna forma di esenzione economica dal Servizio Sanitario Nazionale all'ammalato, prodotti essenziali alla sopravvivenza della maggioranza dei soggetti rientranti in tale categoria? Dov'è il «nuovo»? L'unica cosa nuova e sempre vecchia è l'onda reazionaria che ha investito la nostra vita politica checché ne dicano alcuni «rinnegati» o «riciclati» rappresentanti del nostro mondo politico. Premesso ciò, ci sentiamo in dovere di sottolineare che le cronache dei quotidiani nazionali e locali sono praticamente invase da notizie riguardanti il mancato inserimento nelle fasce «A» e «B» di farmaci salvavita come il «Sabril» usato nella cura delle forme più gravi di epilessia, e di tanti altri prodotti farmaceutici analoghi, in passato coperti dall'esenzione totale economica. Vi è stato di certo un consumo abnorme di tali farmaci, ma è giusto che per tale abuso, dove la classe dirigente e politica non ha mai espresso una reale volontà di controllo o abbattimento di tale fenomeno (e la palese dimostrazione di ciò sono il fior fiore delle tangenti circolate) a pagare siano proprio coloro, e cioè i malati, che per questo infame andazzo si trovano colpiti, non essendone responsabili, dall'improvvisa reviviscenza di un ipocrita senso di responsabilità e del dovere da chi fino ad ora face- va finta di non vedere? Se il ministro della Sanità entro il 28 febbraio prossimo non interverrà con un proprio decreto atto all'inserimento nelle fasce «A» e «B» dei farmaci salvavita come il «Sabril» e tanti altri, noi lo denunceremo per tentato omicidio e se malauguratamente dovesse, nel frattempo, perdere la vita un cittadino appartenente alle classi più disagiate per non aver potuto usufruire dell'erogazione gratuita di uno di tali farmaci provvederemo a denunciarlo anche per omicidio colposo. Giovanni Bembo, Napoli Presidente Coordinamento Regionale Handicappati Campania Sceriffi sì ma del Medioevo Lietta Tornabuoni è stata tratta in inganno: nella recensione del film Posse-La leggenda di Jessie Lee riferisce la spiegazione di Roberto Giallo, ma la parola «Posse» non è nata affatto nel Far West. E' una storia interessante. «Posse» è l'abbreviazione di «posse comitatus», ovvero, in latino medievale, il «potere della contea». Posse comitatus verrà chiamato in Inghilterra un gruppo di uomini al di sopra dei 15 anni, convocato dallo sceriffo di una contea per reprimere disordini, per eseguire arresti pericolosi, insomma «To Keep the King's Peace». Col passare dei secoli, l'aggettivo «comitatus» rimase soltanto nei codici e nei libri di storia, ma la parola «posse» sopravvisse. E dall'Inghilterra varcò poi l'Atlantico. Come si vede, «posse» non ha nulla a che fare con il verbo «to possess». «Posse» significa in latino «essere in grado»: «to possess» viene pure dal latino, ma da «possidere». Mario Ciriello, Londra Stando isolati si diventa leggendari Abbiamo letto l'articolo di Maurizio Assalto sul «poeta della valle fantasma», uscito il 4 gennaio su La Stampa. Complimenti per il lirismo e la bella storia: per noi, abitanti del posto, proprio di una «storia» si tratta. Il signor Charrier noi lo chiamiamo «Candiot» e non lo conosciamo certo come un difensore della natura in grado di dare lezione ai cacciatori. Anzi. E' un arraffone senza porto d'armi, che fa il bracconiere tutto l'anno, a tempo pieno. L'inverno non lo passa di certo solo a leggere. Le sue prede (elencate con precisione, tutte specie che vanno cacciate con rigorosi controlli e a pagamento), sono molto più di 4 o 5 all'anno. A volte sono anche 4 o 5 al giorno. Il «Candiot» è sì un bracconiere «raccoglitore», ma raccoglie soprattutto i soldi dei ristoratori o di chiunque salga da lui a comprare la carne degli animali sel¬ vatici. Quando non è lui a scendere a valle per consegnarli a domicilio. Quanto alle armi partigiane che si procura, non mi stupirei che carabinieri e magistratura avviassero le indagini del caso, perché chiunque, allora, può salire la valle e procurarsele. Graziose ma improbabili le pennellate sulla lucerna a olio (Candiot disponeva forse di una centralina elettrica) o sul fatto che «uccidere gli animali non lo rende fiero, con loro è in confidenza, li rispetta, li tiene d'occhio, sceglie gli animali più vecchi, già feriti, non spara mai alle femmine». Degli animali non gliene frega assolutamente nulla, se non in quanto carne da vendere. Le tagliole che a tutto spiano mette nel «suo territorio» non sono «intelligenti», non distinguono femmine, malati, cuccioli degli animali. Sulla sua memoria difensiva, poi, in cui si richiama alle «leggi non scritte della sopravvivenza» e fa presente che difende la natura dal fuoco, continuiamo a tenerci la pancia dal ridere. Se scoppia un incendio Candiot può solo telefonare a valle ai volontari, che come sempre accorreranno con i mezzi adatti a spegnerlo. Ma quello che spiace di più è come Candiot gira la frittata, accusando il 99% dei cacciatori di sparare a tutto quello che si muove: è lui, che spara tutti i giorni e indiscriminatamente, che dovrebbe imparare dai cacciatori della valle a rispettare i limiti di abbattimento, a pagare le prede alla collettività, a fare ripopolamento della selvaggina, a organizzare insomma la gestione e la difesa della natura. Ma questo non fa notizia, meglio trasformare giornalisticamente un selvatico scroccone in una specie di «Bobin Hood» della Val Chisone. Pons Remo, Torino Seguono 9 firme Sergio Charrier è un bracconiere, lo dice lui stesso. Ma so¬ prattutto è una persona che non finisce di stupire chi lo accosta senza preconcetti, con umiltà e voglia di capire. Una volta cacciava anche per i ristoranti; ora non più, perché un amico a cui guarda la casa gli passa il poco che gli basta per vivere. Non usa tagliole, ma solo fucili. Nessuna centralina elettrica, anche se lui spera di avere presto l'allacciamento. Ma chi vive isolato finisce forse inevitabilmente con l'alimentare leggende, e questa lettera ne è un esempio. [m. as.J Addio Italia «una d'altare» Siamo ormai alle soglie del Duemila e probabilmente anche le massime espresse da Alessandro Manzoni (17851873) vanno riviste e corrette. Mi riferisco alla lettera del sig. Enzo Todaro che cita, fra i versi del grande poeta e romanziere «...Una (l'Italia) d'arme, di lingua, d'altare; di memorie, di sangue, di core». Si può essere prò o contro un'Italia federale. Si può essere favorevoli ad un'Italia «una» per svariate ragioni; ma in quanto ad auspicare un'Italia «Una d'altare», forse che il sig. Todaro rimpiange il fanatismo religioso d'altri tempi, o i tempi del «cuius regio eius et religio» (la religione di un paese sarà quella di chi la governa), oppure i tempi dell'Inquisizione e dei roghi? Guido Baret, Pomaretto Squitìeri: il mio sì alla lista di Sgarbi Per completare e correggere l'informazione sulla «Campagna Acquisti» pubblicata da La Stampa vorrei chiarire che la mia disponibilità politica è indirizzata alla lista del Si di Vittorio Sgarbi. Pasquale Squitieri, Roma