«Mi vuoi avvelenare, ti uccido»

Il giovane che ha massacrato il prefetto in pensione soffriva di crisi depressive Il giovane che ha massacrato il prefetto in pensione soffriva di crisi depressive «Mi vuoi avvelenare, ti uccido» Napoli, la follia arma la mano del parricida NAPOLI. Tutto in ordine, nel parco residenziale che domina il golfo assolato. Come sempre. Il viale alberato che conduce ai palazzi costruiti negli anni del boom economico è protetto da una sbarra azionata dal custode Ambrogio. Oggi passano solo i condomini, per lo più professionisti o alti funzionari dello Stato. Condomini e poliziotti. Gli uomini in divisa a bordo delle auto con i lampeggianti accesi sono l'unica nota stonata nell'apparente tranquillità di questo lembo di Svizzera trapiantato a Napoli. Nessuno parla, nessuno sembra aver visto nulla. Eppure proprio qui, fra le pareti di una bella casa all'ultimo piano dell'isolato F2 con le finestre che si aprono sul Vesuvio e su Capri, un uomo sconvolto dalla follia ha ucciso il padre, il prefetto in pensione Mario Santolicandro, affondandogli per undici volte nella schiena la lama di un coltello da caccia. Il figlio, Antonio, 39 anni, è stato ferito con un colpo di pistola dalla vittima che prima di soccombere ha tentato di difendersi, e ora versa in fin di vita nella sala di rianimazione di un ospedale. La tragedia è avvenuta poche ore fa, ma sembra lontana mille miglia dalla pacifica e indifferente comunità di via Del Parco Margherita. Nessuno sa, nessuno ha visto. Lo stesso Ambrogio, in un attimo di umana debolezza, conferma che «qualcuno fra i signori condomini non sapeva nemmeno che il prefetto avesse un figlio». Antonio Santolicandro, maniaco depressivo, ha covato la sua follia fra le pareti di casa. Usciva di rado, è come se avesse deciso di nascondere se stesso al mondo esterno. Il padre Mario, un distinto pensionato di 79 anni, e la madre Rosa Calvanese, 65 anni, proprietaria di una farmacia, facevano di tutto per assecondare il suo isolamento. I parenti hanno raccontato alla polizia che non parlavano mai del loro unico figlio la cui malattia andava peggiorando con gli anni. «Lo curava la madre, che di medicinali s'intende perché è farmacista - hanno detto -. Per quanto ne sappiamo, Antonio non è mai stato affidato ad un medico, ad uno psichiatra che lo aiutasse davvero». Di tanto in tanto Antonio era preda di crisi violente. Si era convinto che i calmanti che la madre gli dava ogni sera lo stessero uccidendo lentamente. «Mi state ammazzando con queste maledette pillole», gridava. La penultima crisi era giunta sabato scorso, e c'era voluto l'intervento della polizia per riportare la calma. «Vennero due agenti in borghese, mi chiesero dove si trovasse l'appartamento dei Santolicandro mormora Ambrogio -. Agirono con grande discrezione». L'altro ieri, l'epilogo del dramma tenuto nascosto per troppo tempo. In via del parco Margherita è calata la notte. Antonio Santolicandro ha finito da poco di cenare. Sarebbe ora di dormire, ma lui continua a vagare inquieto nella grande casa immersa nel silenzio. E lancia un'occhiata torva verso madre che, come ogni sera, gli porge le pillole. «Basta con questa roba, non ne posso più», grida. Cede alle insistenze di Rosa Calvanese. manda giù i medicinali con un sorso d'acqua, ma i farmaci, ormai, non bastano a calmarlo. E' sempre più agitato, accusa i genitori: «Volete avvelenarmi». Poi corre nella stanza da letto, afferra una pistola che si è procurato chissà dove: un ferro vecchio, ima Beretta calibro 7,65 che conserva in un cassetto all'insaputa dei suoi. A questo punto entra in scena il padre. Mario Santolicandro è un uomo esasperato. Tre giorni fa ha subito una rapina nella farmacia della moglie: i banditi gli hanno portato via anche la pistola che usava per difesa personale, ma lui ne ha acquistato un'altra, una 38 special. Impugna l'arma nella destra mentre con la sinistra spinge Rosa Calvanese fuori dall'appartamento, al sicuro. Nessuno può dire con precisione cosa accade in casa. Secondo la ricostruzione fatta dalla polizia, padre e figlio lottano a lungo. Poi Mario preme il grilletto: una, due, tre volte. I colpi vanno a se¬ gno, raggiungono il bersaglio all'addome e alle braccia. Antonio non risponde al fuoco: «Probabilmente l'arma si è inceppata», spiegano in questura. Ma il dolore provocato dalle ferite non calma la sua rabbia. Rovista in un cassetto di una scrivania, afferra un coltello da caccia con la lama lunga venti centimetri e si scaglia sul padre con tutta la forza che gli rimane. Il resto della storia è affidato ai verbali di polizia. Rosa Calvanese, sentiti gli spari, chiede aiuto ad un vicino di casa che avverte il 113. «L'appartamento sembrava un mattatoio - diranno gli agenti della questura -, C'era sangue dappertutto, nella sala d'ingresso e nel salotto». Il corpo senza vita di Mario Santolicandro è rattrappito contro la porta chiusa di una stanza da letto. Poco distante c'è Antonio, steso su un divano. Respira a fatica, mentre si comprime l'addome con le mani. «Lasciatemi in pace, aspetto di morire», supplica mentre i poliziotti lo portano via. Fulvio Milane I genitori lo curavano ogni giorno con i tranquillanti Prima di morire l'uomo ha sparato al figlio ferendolo gravemente L'ingresso della palazzina dove Antonio Santolicandro, in preda a raptus, ha ucciso il padre

Luoghi citati: Capri, Napoli