L'applauso di Trieste ai caduti di Mostar

8 I funerali dei tre inviati Rai nella cattedrale di San Giusto. «Non scordiamo il loro sacrificio» ^applauso di Trieste ai caduti di Mostar I serbi di Bosnia proclamano la mobilitazione generale TRIESTE DAL NOSTRO INVIATO La cattedrale di San Giusto, sull'altura, il cuore di Trieste per i funerali dei tre inviati della Rai uccisi da una granata in Bosnia. La gente dentro e fuori. Come una stretta per Marco Luchetta, Alessandro Ota e Dario D'Angelo. In tanti su per la salita che conduce a San Giusto, un'ora prima dell'inizio della cerimonia funebre. Il piazzale che va facendosi gremito, i triestini che si dividono in due file, ai lati del portone della cattedrale. Una donna anziana lascia correre le lacrime, quando gli uomini che portano a spalle le bare tagliano per il sagrato, e scrosciano gli applausi. Dentro, non c'è più posto per nessuno. Il vescovo di Trieste, Lorenzo Bellomi, apre il rito parlando in italiano, poi prosegue in sloveno. Alessandro Ota era sloveno. Nel corso della cerimonia, tre letture bibliche, nelle due lingue. E sei preghiere: le prime quattro in italiano, le altre in sloveno, lette da colleghi della Rai. La voce del vescovo s'incrina, nell'omelia. «Questo grappo di giornalisti desiderava raccontare la guerra, filmandone una delle conseguenze più pietose: i bambini senza nome. Hanno voluto offrire la loro solidarietà umana e il loro servizio professionale per far sapere e far riflettere, per coinvolgere molti in una reazione più forte e co. ale alla barbarie che si sta consumando nelle vicine regioni della ex Jugoslavia. Saranno capiti? Ce lo auguriamo». Il bene della pace, rammenta monsignor Bellomi, non ha prezzo. Loro ci credevano, «fino a rischiare la vita per aprire nuove strade di pace». «Che la loro memoria - dice il vescovo - ci spinga a cancellare ogni odio». Nella cattedrale abbagliata dai riflettori, quando si conclude la cerimonia, Spadolini parla in mezzo ai cronisti. «Dobbiamo augurarci che siano le Nazioni Unite ad assumersi le supreme responsabilità. L'Europa s'è divisa troppe volte, e ha dato una prova complessiva d'impotenza di fronte al dramma della ex Jugoslavia. Ci sono stati errori e soprattutto c'è stata una totale mancanza di coordinamento, anche una rivalità tra i grandi Paesi europei». Il presidente del Senato è anche un giornalista. «Questi nostri colleghi caduti - dice - sono stati testimoni, nel senso greco martiri, di quella che è la più feroce barbarie di questo secolo. Il nostro pensiero va alla loro memoria, di giornalisti coraggiosi, ma va con uguale commozione a tutte le vittime di quello che in Bosnia è diventato un autentico genocidio, emulo dei genocidi nazisti». «Credo che una particolare commozione sia venuta agli italiani dal fatto che tre giornalisti della Rai di Trieste sono caduti in una missione volta a mettere in luce il dolore di bambini senza nome, senza famiglia, esempio estremo della degradazione balcanica, cui è giunta la crudeltà contro i musulmani, sia dei serbi sia dei croati. I nostri colleghi sono stati interpreti dell'Europa ci- vile contro quella barbara. Un'Europa civile che non ha fatto niente, in questi due anni, di effettivo e coordinato». Livio Paladin, ministro per le politiche comunitarie, dice che Trieste può aiutare la pace. «In questo senso deve farsi più che mai un luogo d'incontro tra l'Est e l'Ovest d'Europa». Il direttore del quotidiano in lingua slovena «Primorski Dnevnik», Bojan Brezigar, dice che con questa tragedia Trieste ha capito due cose: «La principale è che questa guerra non è poi tanto lontana e che può toccare anche questa città. L'altra cosa è l'unità etnica. La città ha saputo accettare questa diversità, che non c'è soltanto a Sarajevo, ma anche qui, dove convivono popoli diversi». Lo scrittore Claudio Magris si è sentito come in una grande famiglia. «Morendo, ci hanno insegnato a vivere in modo meno idolatra e a vergognarci delle nostre piccole ambizioni. Ma temo che ciò non basti a guardare con ottimismo al futuro della ex Jugoslavia». Ancora gli scrosci di applausi, quando le bare vengono riportate sul sagrato. Su quella di Marco Luchetta, erano posate una copia del periodico «Trieste sport», per il quale aveva a lungo collaborato, e la cassetta del film «Il cielo sopra Berlino». Due simboli delle sue passioni. In fondo al piazzale, ci sono gli amici di Shasha Ota, che reggono dei cartelli con le scritte: «No ai nazionalismi fomentatori di odii e guerra», «Shasha, Marco e Dario vittime dei venditori di armi». Dalla cattedrale escono i giocatori della Triestina calcio e i ragazzoni del basket della Stefanel. Quest'estate, per ricordare Luchetta, Ota e D'Angelo, in piazza Unità d'Italia ci sarà un torneo di minibasket. Le squadre partecipanti si chiameranno: «Stop», «The», «War», «In», «Bosnia». Giuliano Marchesini Il vescovo: la loro morte aiuti ad eliminare l'odio e a bandire tutti i nazionalismi Spadolini: tocca alle Nazioni Unite intervenire \§fr II vescovo di Trieste Bellomi benedice le salme dei tre inviati Rai; qui a fianco il presidente del Senato Spadolini porge le condoglianze alla moglie di Alessandro Ota