USA 74, ITALIA '94 LA LEZIONE AMERICANA di Vittorio Zucconi

USA 74, ITALIA '94 USA 74, ITALIA '94 LA LEZIONE AMERICANA IL fumo degli incendi spenti soltanto da pochi mesi segnava ancora le facciate dei vecchi edifici attorno alla Casa Bianca, quando arrivai in America per La Stampa, venti anni or sono: il cameriere nero del Press Club a Washington mi indicava alla finestra, con una punta di orgoglio inconfessabile, i tetti da dove i «brothers», i ribelli con la faccia scura avevano sparato sulla Guardia Nazionale schierata a quadrato attorno ai palazzi dei governo e del Presidente. Dai cancelli della Casa Bianca, una processione di ufficiali giudiziari usciva a tutte le ore reggendo nelle braccia cartoni pieni di documenti e bobine sequestrate al presidente Nixon ormai in agonia politica per ordine dei magistrati inquirenti. «Pigiate il clacson se volete cacciarlo via», invitavano gli adesivi sui paraurti e nelle ore di punta si alzava dal centro di Washington un fragore lugubre di automobilisti, come il muggito di un branco di animali nel panico. Lontano, Saigon cadeva, consumando il prestigio internazionale di un Paese travolto nella prima disfatta militare della sua storia. Mia moglie qualche volta piangeva sul cuscino: ma questo disastro, ci chiedevamo, era l'America che abbiamo tanto ammirato e sognato? Vent'anni dopo, di nuovo in America per La Stampa, mi preparo a un viaggio alla rovescia, a lasciare per qualche settimana gli Stati Uniti e incontrare da vicino gli uomini e le donne, i «leader», se leader sono, che chiedono il nostro voto, il 27 e 28 marzo. E l'Italia che trovo sembra, in una sorta di vertigine da ricordi, l'esatta, simmetrica immagine di quell'America del 1974. Non si spara (per ora) attorno a Palazzo Chigi, ma il potere politico è prigioniero del suo passato e dei magistrati inquirenti come lo era il potere americano vent'anni or sono. L'economia scricchiola orribilmente. Il nostro prestigio internazionale, mai altissimo per dire il vero, è quasi nullo. I cittadini sono insieme depressi e furiosi, aggressivi e spaventati. I clacson, quelli li suoniamo già troppo anche senza autoadesivi, ma il nodo in gola viene lo stesso: questa è l'Italia che ab¬ biamo costruito per i nostri figli? Eppure è proprio in questa simmetria di crisi, distante 20 anni e 6 mila chilometri, che c'è un piccolo segno di conforto e di rassicurazione. Ricordo le domande imbarazzate che, nel 1974, gli amici di Washington rivolgevano a noi stranieri, con accenti di scusa: chissà che cosa penserete di noi e della nostra democrazia, voi in Europa. E noi rispondevamo che proprio quella vergogna era la prova della vitalità di una democrazia, della forza della sua Costituzione. Che rabbia, e che invidia, allora, confrontando il coraggio «scandaloso» degli americani con le sabbie cardinalizie della politica romana, nelle quali tutto sprofondava in morbidi silenzi, senza un grido. La prima «lezione» che viene dal parallelo fra il '74 americano e il '94 italiano, e che mi tengo stretta per non essere risucchiato dalla depressione nazionale, è appunto questa: la vergogna non è nella scoperta delle malefatte, ma è nel troppo tempo passato nel silenzio. Se avessimo pagato a rate, come fanno le nazioni più civili, con un paio di arresti ogni anno, i normali conti delle democrazie con gli amministratori corrotti e gli incapaci, oggi il conto sarebbe meno salato, ma l'essenziale è pagarlo, a rate o in contanti. «Tutti si sporcano. Solo le persone pulite non hanno paura di lavare spesso la biancheria», diceva Harry Truman. Ma se la depressione, o lo sconforto, sono dunque lussi inutili, c'è una seconda «lezione americana» che ci viene dal confronto ventennale fra il Watergate e la Città delle Tangenti italiane. La lezione è che in queste salutari e periodiche lavande, necessarie per disintossicare il sistema, deve scattare la fase della convalescenza. Proprio di questi tempi, nel tardo inverno del 1974, a Washington si cominciarono a vedere nemici personali e avversari politici, repubblicani e democratici, persino giornali e televisioni, calmarsi e interrogarsi meno sulla fine del vecchio regime e più sulla ricostruzione di quello nuovo. Lo spirito della Frontiera, quello che Vittorio Zucconi CONTINUA A PAG. 2 QUINTA COLONNA

Persone citate: Harry Truman, Nixon