C'è un paracadute anche per l'aereo

C'è un paracadute anche per l'aereo C'è un paracadute anche per l'aereo IMMAGINATE di essere su un piccolo aereo e che il motore vi pianti in asso. Succede raramente, ma può accadere. Se siete fortunati, il pilota riuscirà a trovare un campo sul quale compiere un atterraggio d'emergenza. Altrimenti viene in mente quella battuta: «Se non avete un paracadute, non vi capiterà di averne bisogno un'altra volta». E anche la reale utilità del paracadute è dubbia: ci vuole del tempo per uscire dall'aeroplano, una quota sufficiente e la preparazione necessaria a usarlo. Ma torniamo sul nostro aereo. Ecco che il pilota tira una maniglia e - dopo pochi istanti è l'intero velivolo che scende dolcemente, appeso a un grande paracadute. Questo sistema di salvataggio è stato recentemente certificato dalla Federai Aviation Administration (Faa), l'ente americano che detta legge in materia aeronautica, dopo un ciclo di collaudi con un «Cessna 150», il monomotore impiegato per l'addestramento dei piloti dagli aeroclub di tutto il mondo. Il dispositivo si chiama Gard, acronimo di General Aviation Recovery Device, ed è stato realizzato dalla Ballistic Recovery Systems di South St. Paul, nel Minnesota, dopo sette anni di studi e con un investimento di 1,5 milioni di dollari. E' composto da un paracadute alloggiato nel dorso della fusoliera e di un sistema a razzo capace di estrarlo in mezzo secondo da quando si aziona la maniglia. In 5 secondi la calotta del paracadute (che ha la caratteristica di aprirsi in modo diverso a seconda della velocità) è completamente spiegata e l'aereo scende verso terra a 7,5 metri al secondo. La rapidità d'intervento consente di ricorrere al sistema d'emergenza anche a bassa quota: meno di 90 metri d'altezza. L'impatto con il terreno è paragonabile alla caduta da un muretto di due metri e viene smorzato dal carrello. Sistemi analoghi di salvataggio sono impiegati da alcuni anni su deltaplani a motore e ultraleggeri. La stessa Ballistic Recovery Systems vanta una notevole esperienza: 10 mila paracadute balistici prodotti a partire dal 1986 e 73 piloti salvati. E' la prima volta, però, che mi sistema di questo tipo viene rio dmazI rio c I maz Si chiama «Gard» ed è un paracadute che salva I piccoli aerei in avaria progettato e applicato su un aereo vero: non soltanto più pesante e veloce di un deltaplano a motore, ma soggetto a una normativa molto più severa. Per la certificazione, la Faa ha richiesto ben 19 prove di apertura del paracadute nelle più diverse condizioni: velocità di crociera, stallo, velocità massima in picchiata, virata a destra e a sinistra, vite. I test sono stati condotti a una quota di tremila metri. Dopo la discesa con il paracadute, l'aereo veniva sganciato a meno di mille metri, in modo da compiere un atterraggio convenzionale. Per il momento, il dispositivo è certificato per i monomotori Cessna 150 e 152 (ne volano circa 20 mila esemplari), ma sono 170 mila gli aerei da turismo che potranno impiegare il Gard a mano a mano che verranno realizzate e certificate versioni specifiche per i diversi modelli. Il costo del dispositivo è inferiore ai seimila dollari, compresa l'installazione. Il Gard può essere impiegato per uscire da numerose situa¬ CONVEGNO FORM IT AVEVA ragioni da vendere Aurelio Peccei, il carismatico fondatore e presidente del Club di Roma, quando alla metà degli Anni 70 ritenne cruciale far convergere indagini e riflessioni sui limiti «interni» delle nostre capacità di comprendere e pilotare il caotico mondo artificiale (tecnologico, economico, sociale) da noi stessi creato. Dopo aver scatenato il grande dibattito sui limiti «esterni» alla nostra crescita quantitativa e materiale, il Club di Roma iniziò appunto a indagare sui limiti interni. Limiti di percezione, selezione, attenzione, innovazione, anticipazione, e via dicendo. L'ultimo rapporto prodotto dagli studiosi del Club, «Imparare il futuro», si concentrava sulla grande tematica dell'apprendimento, dimostrando l'inadeguatezza dei meccanismi correnti, che seguono uno schema definibile come «apprendimento conservativo o adattativo» per proporre l'urgente necessità di avviare processi di apprendimento continuativo, definito «apprendimento innovativo», capaci di attrezzarci per affrontare il nuovo. Da tempo neurofisiologi, psicologi, psicobiologi, etologi umani, esperti di scienze cognitive studiano questi meccanismi di percezione e apprendimento. La comprensione delle relazioni esistenti tra il mondo artificiale da noi stessi creato e il mondo della natura è oggi fondamentale per la nostra stessa sopravvivenza. La cultura ambientalista ha fatto molti passi in avanti in questa direzione. Eppure negli ultimi tempi si parla di una sua crisi. Per vent'anni è stata fatta una diffusa opera di sensibilizzazione sulle problematiche ambientali, e oggi i temi e il vocabolario sono entrati nella cultura comune e in queUa politica ed economica. Proprio per questo, mentre vent'anni fa il ruolo degli ambientalisti era ben definito contro politici e imprenditori, oggi non è più così. Quando un politico parla di «compatibilità ambientale dello sviluppo», di «sviluppo sostenibile» e via dicendo, è difficile capire dove siano i punti di contrasto con gli ambientalisti. Nella realtà quotidiana poi queste argomentazioni teoriche difficilmente sono tradotte in pratica e la situazione ambientale resta, amaramente, quella di prima. Eppure l'ambientalismo non è in crisi. Se consideriamo l'ambientalismo come il corpus di propo-. ste serie, scientificamente fondate, che negli ultimi anni i migliori studiosi e ambientalisti hanno prodotto in tutti i campi, dall'economia dell'ambiente all'etica ambientale, dalle tecnologie compatibili alle innovazioni energetiche dobbiamo onestamente dire che su questi fronti non vi è crisi. Anzi, si registrano avanzamenti significativi anche se restano aperte molte questioni sull'applicazione pratica della sostenibilità, sugli indicatori e sui target della sostenibilità. E' invece in crisi la capacità comunicativa dei messaggi ambientali, la loro assimilazione da parte del pubblico e la trasformazione dei-comportamenti che questi dovrebbero indurre. I messaggi vengono acquisiti a un livello epidermico, non si traducono in consapevolezza vera e, quindi, in azioni responsabili. La crisi è perciò di comunicazione, non di contenuti. Non è forse un caso che questa crisi coincida con una strategia della comunicazione sempre più mirata sull'«effetto superficiale». La cultura ambientale come tutte le culture non può limitarsi alla superficie e ai puri «effetti speciali» della comunicazione. La cultura ambientale è una cultura interdisciplinare, ai confini tra le varie conoscenze, è una cultura fatta di contaminazioni di tante discipline, una cultura sistemica e olistica. Non è facile ragionare in termini sistemici. Non è facile comprendere bene i messaggi ambientali. La visione ambientalista ci sprona a un approccio completamente nuovo alla conoscenza che non segue più la logica lineare di causa ed effetto cui siamo, oserei dire quasi genericamente, strutturati. E' veramente necessaria una «rivoluzione» nella comunicazione ambientale. zioni, come collisioni in volo, stallo a bassa quota, cedimento strutturale, perdita di controllo del velivolo, malore del pilota (può essere azionato anche da un passeggero) e quando per guasto al motore o per altri motivi (aereo fuori rotta, carburante esaurito) sia inevitabile prendere terra in ima zona impervia. Inoltre, si può utilizzare il paracadute per ridurre la corsa di atterraggio su piste molto corte, in caso di guasto ai freni, oppure per arrestare l'aereo che abbia interrotto il decollo. Secondo la Ballistic Recovery Systems, in futuro sistemi analoghi potranno essere impiegati a bordo di velivoli molto più grandi, anche sui jet di linea. «Con la tecnologia attuale - dice il presidente della società, Boris Popov - non è possibile, ma lo sarà con il progresso dei materiali e dei propellenti». Dopo tutto, già oggi i booster dello Space Shuttle scendono frenati da paracadute. E pesano 29 tonnellate. Giancarlo Riolfo

Persone citate: Aurelio Peccei, Boris Popov, Gard, Giancarlo Riolfo, Space

Luoghi citati: Minnesota, Roma