Le promesse fiscali e l'oppio dei popoli di Alfredo Recanatesi

r- L'ANALISI Le promesse fiscali e l'oppio dei popoli Il ministro GalNEL tentativo di uscire da una impudente genericità, quanti stanno cercando consensi prospettando la riduzione della pressione fiscale si vanno avventurando in teorie economiche a dir poco ardite. Secondo queste teorie, la opportunità di una riduzione sarebbe dimostrata dalle inclinazioni alla parsimonia che ha fatto degli italiani il più formidabile popolo di risparmiatori della terra. Se già ora tendono a vivere al di sotto delle loro possibilità, destinando una tanto elevata quota del loro reddito al risparmio - questo è il ragionamento -, non c'è il rischio che una riduzione delle tasse si risolva in un aumento del consumismo. Al contrario, accresce il risparmio promuovendo gli investimenti e - ecco il passepartout usato per rendere presentabile qualsiasi tesi - accrescendo la creazione di posti di lavoro. Se è demagogia ingannare la gente con la prospettiva generica di minori tasse, ora siamo alla demagogia di seconda istanza, quella che può essere usata, appunto, per coprire l'impudenza della proposta iniziale. A parte la confusione tra pressione fiscale complessiva e tassazione dei redditi personali, infatti, non è vero ciò che si evince dalla consistenza del risparmio; quindi, non è vero che una riduzione delle imposte promuoverebbe investimenti e occupazione; infine, e soprattutto, non è vero che in siffatte proposte vi sia alcunché di nuovo rispetto alla politica del vecchio regime. Cominciamo dal risparmio; e senza farci prendere la mano dall'oleografia delle sue rappresentazioni letterarie. La classifica che ha all'apice la propensione degli italiani a risparmiare è .strettamente legata a quella che pone lo Stato italiano tra quelli finanziariamente più dissestati. Una è lo specchio dell'altra, ed insieme costituiscono l'anomalia dell' Italia rispetto agli altri Paesi. Non potendo esistere l'una senza l'altra, esse non confortano il manicheismo di chi ci descrive come gente laboriosa e risparmiatrice meritevole di essere affrancata da uno Stato inetto e dissipatore. Fin che ha potuto, il vecchio regime politico ha combinato una bassa pressione fiscale con una spesa elevata, finanziando la differenza con debiti. Se quei debiti non fossero stati accesi, non potrebbero neppure esistere quelle smisurate montagne di titoli che, viste dal lato di chi li possiede, costituiscono quel risparmio aggiuntivo che algenti (e lo credo bene!) non I rispi jtreg o hanno accumulato. Questo non comporta alcun giudizio su chi, magari con sacrificio, ha accumulato una certa quantità di titoli e che ora ha tutto il diritto di vedersela rimborsata (con tasse che dovremo pagare). Significa, però, che nel «sistema Italia» quel risparmio non avrebbe potuto esserci se non ci fosse stata dissennatezza nei comportamenti finanziari dello Stato. Di conseguenza, l'esistenza di questo risparmio non dimostra affatto che gli italiani tendono a vivere al di sotto delle proprie possibilità reddituali. E' vero, invece, l'esatto opposto, come si evince dal fatto che per lunghi anni, quelli nei quali gli stranieri trasecolavano nel constatare il nostro tenore di vita, l'Italia si è fortemente indebitata verso l'estero. Questo indebitamento ha cessato di crescere - guarda caso! soltanto quando i governi di Amato prima e di Ciampi poi, soprattutto con misure fiscali, hanno dato credibilità all'intenzione di riequilibrare i conti pubblici. Così facendo, questi stessi governi hanno determinato anche le premesse per una forte discesa dei tassi di interesse, stabilendo così le condizioni necessarie, anche se chiaramente non sufficienti, per una ripresa degli investimenti e, con essi, dell'occupazione. E' di tutta evidenza, teorica ed empirica, che una politica di segno opposto produrrebbe risultati anch'essi opposti; così è sempre stato. Con una differenza, però. Il dissesto della finanza statale è stato determinato da un sistema istituzionale che induceva la maggioranza a trattenere il proprio elettorato con favori e privilegi anziché con politiche di medio e lungo periodo, quindi gratificando gli interessi individuali a spese del settore pubblico. La legge elettorale è stata cambiata per questo, ma l'atteggiamento di chi si candida sembra rimasto immutato: continua a far leva sugli immediati interessi individuali della gente per altro assai grossolanamente individuati - piuttosto che su politiche per migliorare nel tempo gli equilibri, l'efficienza, la serenità, l'etica del Paese nel quale tutti noi, ancorché come individui, comunque viviamo. Il vecchio sistema è rovinosamente caduto sulla insostenibilità del metodo col quale poteva assicurarsi il consenso; pensare di poter ricominciare da capo, con le stesse approssimazioni e gli stessi inganni, è veramente diabolico. Alfredo Recanatesi Il ministro Gallo

Persone citate: Ciampi, Gallo

Luoghi citati: Italia