Ridurre le tasse? Impossibile di Stefano Lepri

12. Dalla Germania alla Francia alla Svezia: nessuna clemenza, tagliare le spese Ridurre le tasse? Impossibile L'amara sentenza dei Grandi riuniti a Davos DAVOS DAL NOSTRO INVIATO «Ridurre le tasse? Io prima di tutto devo cercare il modo di non aumentarle» risponde Jean-Luc Dehaene, primo ministro di un Paese, il Belgio, con una finanza pubblica in condizioni simili a quella italiana. Sì, la questione che forse animerà tutta la battaglia elettorale da noi, se sia possibile alleggerire il carico fiscale, compare anche al «Forum dell'economia mondiale» riunito come tutti gli anni a Davos, in Svizzera. Nessuno dei governanti presenti si sente in grado di compiere quel passo; pur se tutti sanno bene che gli elettori gliene sarebbero grati. C'è una eccezione sola, il Giappone. Si scopre così che in Gran Bretagna, dopo quasi 15 anni di thatcherismo o comunque di governi conservatori, la pressione tributaria non è diminuita; e il Cancelliere dello Scacchiere Kenneth Clarke difende qui gli aumenti di tasse appena decisi, perché «solo con i conti dello Stato in ordine si può avere una ripresa produttiva sana». Negli Stati Uniti ci si rallegra di aver avviato la ripresa grazie ai bassi tassi di interesse, dal momento che con riduzioni delle imposte non si poteva, a causa del troppo alto deficit di bilancio. Il governatore della Bundesbank Hans Tietmeyer, contrario a quella politica, ripete tuttavia che «un aumento del deficit dello Stato minerebbe la fiducia». Nell'Europa continentale, dove la ripresa non c'è, nessuno azzarda un calo delle imposte per stimolare la domanda: «I deficit di bilancio sono troppo alti, su questo siamo tutti d'accordo» dice il ministro dell'Economia spagnolo Pedro Solbes. Negli ultimi anni le tasse sono significativamente sce¬ se solo nei Paesi scandinavi, dove però avevano raggiunto livelli altissimi. Cari Bildt, primo ministro conservatore della Svezia, racconta di come il suo Paese sta faticosamente tornando indietro dagli eccessi dello Stato sociale. La pressione fiscale era arrivata al 57% (per confronto, in Italia è al 43%), ora «è scesa al 49-50%». Bildt ha maggiori difficoltà nel ridurre le spese che venivano finanziate da quelle tasse; il loro livello sul prodotto interno lordo, già al record tra tutte le economie di mercato, è ora «attorno al 60%». Vale a dire che il deficit pubblico supera, in proporzione, quello dell'Italia. «Quando ho ridotto i nostri troppo alti sussidi di disoccupazione - racconta ancora il primo ministro - i sindacati e il partito socialista, all'opposizione, mi sono saltati addosso. Ora mi danno ragione. Nel programma elettorale dei socialisti, che pure promette il Paradiso in terra, l'aumento dell'indennità di disoccupazione non c'è». Chissà però chi vincerà le elezioni di settembre in Svezia: secondo i sondaggi, i socialisti. «Ci vuole molto coraggio politico per ridurre le spese» nota Tietmeyer, e invita a insistere. Peraltro proprio in Germania la spesa pubblica è molto cresciuta negli ultimi anni: dal 47% al 52% del prodotto interno lordo. La colpa è dell'unificazione con l'ex Germania dell'Est; e quanto a ridurre altre spese, lo Stato centrale qualcosa ha fatto, i Laender federali quasi niente. E da un altro dei concetti più frequentemente ascoltati a Davos esce addirittuta la prospettiva di un aumento delle tasse. Parlando dell'elevato livello di disoccupazione, se ne vede una delle cause nell'elevato livello dei contributi che gravano sul costo del lavoro, che disincentivano le imprese ad assumere. Il record di contributi è in Francia, e allora «la prima cosa da fare è ridurli per le fasce di lavoratori a più bassa qualificazione» dice il ministro dell'Economia francese Edmond Alphandéry. Ma come fare a ridurre questo carico parafiscale sul lavoro, senza peggiorare i deficit? In Germania già se ne discute: non sarebbe il caso di aumentare l'Iva? Stefano Lepri Hans Tietmayer

Persone citate: Bildt, Edmond Alphandéry, Hans Tietmayer, Hans Tietmeyer, Jean-luc Dehaene, Kenneth Clarke, Pedro Solbes, Tietmeyer