Era quasi fatta cinquant'anni fa di Domenico Quirico
Erg quasi fatta, cinquantanni fa Erg quasi fatta, cinquantanni fa Un sottomarino nazista doveva portare l'uranio II |: ". -:- ||| g|. ' I HI till!: fii I UN SOGNO NIPPONICO I L due maggio 1945 la radio dcll'U-boot-234 in navigazione nell'Atlantico a metà strada tra l'Europa e le coste americane, dopo giorni di ostinato, allarmante silenzio, riuscì a rimettersi in contatto con il suo quartier generale di Kiel. Il comandante Johann Heinrich Felher aveva soltanto 35 anni, ma non si era guadagnato i gradi perché, ormai, nella Kriegsmarine, dopo sei anni di guerra, erano rimasti in pochi. Felher era il ragazzo prodigio di Doenitz, l'eroe dell'epopea dell'Atlantis, nave corsara che aveva dato enormi dispiaceri agli inglesi. Guidare una missione impossibile che poteva cambiare la guerra sembrava un incarico cucitogli addosso. Nella enorme pancia del suo sottomarino da 22 mila tonnellate, capace di portare un carico di 240 tonnellate, era stipata l'ultima speranza del Giappone di riacciuffare una vittoria ormai perduta. Oltre ad alcuni prototipi di V-l e V-2, le bombe razzo che avevano terrorizzato (invano) Londra, c'era un prezioso carico di uranio, necessario agli scienziati giapponesi per costruire una bomba atomica da lanciare come una punizione divina sulla flotta americana quando si fosse avvicinata per l'invasione. L'ambasciatore a Berlino, Oshima, aveva lottato per mesi prima di convincere i capi nazisti a quell'ultimo, micidiale regalo, indispensabile per l'arma segreta da montare su un aereo o su un sommergibile kamikaze. E il 25 marzo l'U-234 era partito per la sua disperata crociera attraverso due Oceani presidiati dalle flotte alleate. Quando il quartier generale di Kiel rispose agli appelli disperati del sottomarino, Fehler non ebbe il tempo di tirare un sospiro di sollievo: ascoltò infatti l'annuncio della resa del Terzo Reich e l'ordine ai pochi U-boot ancora in mare di consegnarsi subito agli americani. Il comandante annunciò ai suoi uomini che si sarebbe diretto verso le coste orientali degli Stati Uniti. Ma a bordo c'erano due uomini che non ci sarebbero mai arrivati. Due ufficiali giapponesi, un tecnico di razzi e un esperto di costruzioni sottomarine, comunicarono che non si sarebbero mai arresi. Date le circostanze, invece del «seppuku», il suicidio con la spada, si rassegnarono a usare il sonnifero. Li seppellirono in mare prima di arrendersi a una unità americana. Il sogno della prima atomica giapponese finì lì, in mezzo all'Atlantico, una pagina di guerra rimasta, per ragioni politiche, segreta anche dopo il '45: svelarla infatti avrebbe chiamato in causa pesanti responsabilità di Hirohito, ex dio appassionato di scienza. La corsa alla Bomba era cominciata prima di Pearl Harbour, e per un beffardo gioco del destino, in un Paese destinato a rimanere protagonista negli incubi nucleari dell'Asia, la Corea del Nord. Il Rikken, l'istituto imperiale di ricerca, aveva nascosto a Hungnan, vicino ad alcune modeste rnimiere di uranio, una centrale nucleare dove nel maggio del '45, come raccontò poi un testimone oculare a un giornalista dell'Observer, fu realizzata una esplosione di prova. Il Fermi nipponico si chiamava Yoshio Nishina, ma per fabbricare un'atomica operativa gli mancava l'uranio. Sperò fino all'ultimo nell'arrivo dell'Uboot e del suo carico prezioso. Invano. Non raccontò mai cosa provò quando, due mesi dopo, una Bomba come la sua cancellò Hiroshima. Morì nel '51, per gli effetti delle radiazioni micidiali a cui si era esposto tentando di aiutare le vittime. La sua centrale fu portata via dai russi; servì a realizzare l'atomica di Stalin e l'equilibrio del terrore. Domenico Quirico
Persone citate: Doenitz, Johann Heinrich Felher, Oshima, Stalin, Yoshio Nishina
Luoghi citati: Asia, Berlino, Corea Del Nord, Europa, Giappone, Hiroshima, Kiel, Londra, Stati Uniti
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