Cernomyrdin il volto dell'enigma russo di Aldo Rizzo
6. Cernomyrdin, il volto dell'enigma russo 111 ^ ::::: - N collega che ha vissuto a Mosca e che conosce la Russia molto più di me ha detto che Viktor Cernomyrdin ha l'aspetto di un tecnocrate intelligente, certamente ambiguo dal punto di vista politico, ma non paragonabile ai vecchi uomini di apparato dell'Urss. A me, che lo osservavo durante la sua visita a Roma (nella conferenza stampa e mentre leggeva il suo discorso dopo il pranzo ufficiale) ha invece fatto tornare in mente l'immagine dei grandi funzionari sovietici tra i Settanta e gli Ottanta, cioè nell'età brezneviana. Naturalmente, non è in discussione l'intelligenza di un uomo che è il primo ministro della Russia, ma, appunto, la sua immagine. Che ha detto Cernomyrdin nei suoi due giorni romani, incontrando Ciampi, Scalfaro, il Papa e gli industriali (e poi ha ripetuto, sostanzialmente, a Davos, durante il weekend, al Forum internazionale)? Che le riforme vanno avanti, che non c'è nessuno stallo nella situazione politico-economica russa, anche se, certo, qualche correzione s'impone circa i modi e i tempi. Ma il tono con cui lo diceva, un tono piatto e burocratico, evocava personaggi della vecchia storia della Russia, anzi dell'Urss. Che so, un Kossighin, primo ministro appunto di Breznev, anche lui un tecnico prestato alla politica e anche lui riformatore, a parole. Comunque, mentre Cernomyrdin parlava a Roma, il portavoce di Eltsin, a Mosca, lasciava capire lo scarso entusiasmo del Presidente per il programma del nuovo governo, dal quale non a caso si erano appena dimessi i due portabandiera del cambiamento, Gaidar e Fiodorov. In termini concreti, il problema è il seguente: dove si va a parare con un primo ministro come Cernomyrdin, che non è un esecutore, come pure vorrebbe la logica di un regime presidenziale, ma è ormai considerato un interlocutore «politico» di Eltsin, con un proprio potere, in quanto punto di raccordo e di compromesso tra il leader del Cremlino e le forze conservatrici emerse dalle elezioni parlamentari del 12 dicembre. In conseguenza, come si deve comportare l'Occidente, di fronte a uno snodo ambiguo, eco¬ nomicamente e politicamente, della vicenda russa, dopo la fine dell'Urss. Naturalmente, siamo ben oltre Breznev e Kossighin, i tempi sono comunque e irrimediabilmente cambiati. Ciò non toglie che gli scenari di Mosca si siano parecchio oscurati, se non addirittura incupiti. Economicamente, si aspetta di vedere come il finanziamento delle vecchie e obsolete industrie di Stato possa conciliarsi con l'obiettivo cruciale della lotta all'inflazione. Delle due l'una: o si continuano a stampare rubli, e sarà l'iperinflazione alla Weimar, o si opta per il controllo statale dei prezzi, e allora addio mercato. Quanto allo scenario politico, Cernomyrdin e ogni altro escludono il ritorno di un nazionalismo grande-russo. Ma nessuno, per la verità anche fra gli eltsiniani, e non parliamo di Zhirinovskij, nasconde la pretesa che la Russia debba avere un ruolo speciale nell'area della ex Unione Sovietica, e anche nella zona «grigia» europea, che appartenne al Patto di Varsavia. Perfino Gorbaciov giudica inammissibile il progetto (in Occidente giudicato da alcuni troppo labile e compromissorio) di graduali garanzie della Nato a Paesi come la Polonia, l'Ungheria, la Repubblica ceca. E, circa la tragedia bosniaca, appelli al negoziato a tutti i costi, che sottintendono il veto a qualsiasi azione di forza contro i serbi. Dunque una Russia allo sbando sul piano economico e che però riprende l'iniziativa, in termini a volte inquietanti, sul piano della politica estera. Quanto sono lontane le speranze in una rapida integrazione economica, politica e strategica con le democrazie occidentali, e quanto complesso è il compito, appunto, dell'Occidente. Di questo momento di estrema incertezza, in bilico tra una cosa e il suo oppósto, Cernomyrdin più di ogni altro appare oggi il simbolo. Aldo Rizzo
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