Il disgelo passa dal business di Aldo Baquis

Il documento sull'autonomia di Gaza e Gerico sarà firmato tra una decina di giorni al Cairo Il disgelo passa dal business Megaprogetti diporti, canali e oleodotti DOPO L'INTESA GLI AFFARI ATEL AVIV Davos, di fronte ai partecipanti del Forum economico mondiale, il ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres ha annunciato ieri che il tentativo di «costruire un nuovo Medio Oriente» avrà concretamente inizio quest'anno con una grande conferenza economica ad Amman «a cui parteciperanno le principali organizzazioni del mondo degli affari degli Usa, dell'Europa e del Giappone». Sarà quello un primo tentativo di mettere ordine e di stabilire priorità in un amalgama di progetti e di iniziative che accendono la fantasia e che si inseguono vorticosamente da quando, nel settembre scorso, Yitzhak Rabin e Yasser Arafat hanno indicato al mondo che la pacificazione della Regione non è più un'utopia. «Nel Medio Oriente vivono oggi 230 milioni di persone», ha notato di recente Peres. «Fra 30 anni saranno 500 milioni. I loro standard di vita e i livelli di cooperazione regionale influenzeranno direttamente il futuro della regione». I dati macroeconomici della zona sono impressionanti nella loro crudezza. In uno studio comparato del prodotto locale negli anni 1977-1992, il quotidiano Yediot Ahronot è giunto alla conclusione che le economie dei Paesi arabi hanno perso notevolmente terreno. Nel 1977, il prodotto lordo di Israele era di 10 miliardi di dollari, mentre quello di Egitto, Giordania, Siria ed Iraq era complessivamente di 40. Quindici anni dopo, Israele (67 miliardi di dollari) superava i quattro Paesi arabi (58 miliardi). In Israele, il livello di vita era aumentato del 50 per cento, in Giordania era calato del 10 per cento, in Iraq del 70 per cento. «Il Medio Oriente - sostiene Peres, che di recente ha pubblicato un libro sulla sua concezione del nuovo assetto della regione - non ha bisogno di soldi, ma di meccanismi che producano soldi e di mercati in grado di soddisfare le esigenze degli abitanti». Questi alcuni dei progetti allo studio negli ultimi mesi. Canale. Di recente, una compagnia italiana ha studiato la possibilità di scavare lungo il confine fra Israele e Giordania un canale lungo 100 km (e con un dislivello complessivo di 400 metri) che colleghi il Mar Rosso al Mar Morto. Alla sua estremità Sud verrebbe costruito un porto «arretrato» di qualche km rispetto alle città di Eilat e Aqaba. In questo modo sarebbe possibile offrire ai turisti spiagge più attrezzate e pulite. Israele e Giordania costruirebbero nelle vicinanze un aeroporto comune. Lungo il canale, dovrebbero essere costituiti laghi artificiali da sfruttarsi sia a fine turistico sia per la produzione di energia elettrica. Edilizia. Dieci nuove città di 3050 mila abitanti ciascuna in Cisgiordania, tre nuove da 250 mila abitanti a Gaza, per un costo complessivo di 30 miliardi di dollari: questa l'impresa faraonica a cui sta lavorando una società palestinese, la Philistea. «In un tratto di 10 km lungo la sponda Nord del Mar Morto - afferma l'ingegnere palestinese Issa Udah - vogliamo costruire una nuova Eilat, in grado di ospitare il turismo invernale e le comitive interessate alle doti terapeutiche dei fanghi. Entro il Duemila, dovremmo approntare 10 mila posti letto». Porti e aeroporti. Il posto dove c'è maggiore urgenza di costruirne è a Gaza, una striscia di terra lunga 30 km, isolata geograficamente e con 800 mila abitanti. L'allargamento del semi-insabbiato porticciolo che esiste oggi richiederebbe tre anni, per 50-70 milioni di dollari. Un gruppo di imprenditori (anche italiani) studia la possibilità di costruire in soli undici mesi un porto galleggiante, con un investimento di 15 milioni di dollari. Oleodotto. Secondo uno studio pubblicato un anno fa dall'Università di Tel Aviv, il futuro di Gaza potrebbe essere molto più roseo se fosse scelta come terminale di una grande «pipeline» proveniente dall'Arabia Saudita. Il progetto diventerebbe economicamente valido - secondo il professor Gideon Fischelson - se ogni anno da Gaza passassero 60-70 milioni di tonnellate di greggio, dirette all'Europa occidentale. Acqua. E' uno dei problemi più spinosi del conflitto mediorientale, data la endemica penuria fra i popoli della regione. La settimana scorsa, il capo di Stato israeliano Ezer Weizman ha esaminato in Turchia la possibilità per Israele di acquistare 300 milioni di metri cubi di acqua all'anno, da trasportarsi in Israele mediante speciali contenitori galleggianti trainati da navi. Progetti di desalinizzazione potrebbero inoltre essere condotti presso Gaza oppure lungo il confine fra Israele e Giordania. Turislo. La progettazione di una grande rete ferroviaria e di autostrade regionali è già iniziata. Israele conta inoltre di raddoppiare la capienza del suo aeroporto di Lod, in previsione di un boom di pacchetti turistici con i Paesi vicini. In questo campo il futuro si sovrappone, paradossalmente, al passato: l'offerta più allettante, una volta aperte le frontiere, è quella di raggiungere dal deserto del Negev (Israele) la città nabatea di Petra (Giordania) a dorso di cammello o a bordo di una jeep lungo la pista che duemila anni fa era nota come «la via dei profumi», perché battuta dai commercianti di spezie provenienti dall'India. Aldo Baquis La pace tra palestinesi e israeliani dovrebbe permettere il decollo economico dei territori. Se ne parlerà entro l'anno in un convegno ad Amman

Persone citate: Ezer Weizman, Peres, Shimon Peres, Yasser Arafat, Yitzhak Rabin