Che nostalgia: Dorelli è tornato a cantare di Marinella Venegoni
Che nostalgia: Sorelli è tornato a cantare In scena al Manzoni di Milano «...Ma per fortuna che c'è la musica!» di Garinei & Giovannini Che nostalgia: Sorelli è tornato a cantare In un one-man-show, tra ricordi di rivista e di tv all'esordio MILANO DAL NOSTRO INVIATO «... Ma per fortuna c'è la musica!», con la firma gloriosa della ditta Garinei & Giovannini, al Manzoni di Milano, segna il ritorno di Johnny Dorelli al teatro ma anche alla musica cantata, che dell'attore fu il primo amore, e che gli meritò - 36 anni fa, nel 1958 - un primo posto al Festival di Sanremo come partner di Modugno nella rivoluzionaria «Volare». Lo show, che ha debuttato con un certo successo la scorsa settimana, ha più piani di lettura ma tutti sotto l'ombrello consolatore della nostalgia: c'è il ricordo del musical e del variété, quelli puri non ancora corrotti dal linguaggio tv; e c'è la passione cieca per la musica melodica, dolce compagna di una giovinezza perduta che però si riaccende come per incanto al suono delle note complici di un'orchestrina. E l'orchestrina «Bravo» domina la scena volutamente all'antica disegnata da Uberto Bertacca. Disposti sui due lati del palco, i musicisti sono compagni di viaggio delle divagazioni canore di Dorelli con gli altri sei protagonisti dello show, bravi danzatori e canterini tuttofare istruiti da Don Lurio, che movimentano la scena con balletti essenziali e numerosi cambi di costume. Lo spettacolo è tutto qui, un «onemanshow» in pantofole costruito sulle canzoni e sul filo rosso dei ricordi che le accendono, passando da Berlin a Gershwin ma anche da Barbarossa a Battisti, dai Beatles a Weill, e da Carmichael al buon vecchio D'Anzi, cantore di una meneghinità più umana e meno presupponente di quella tramandataci dalle ultime cronache. Però, però. «... Ma per fortuna c'è la musica» ad ogni battuta, ad ogni sospiro del crooner Dorelli, trasuda questo sentimento di perdita irrimediabile di un passato migliore del presente: e la spre¬ muta è acida di umori piuttosto qualunquisti, di divagazioni generiche sul buon tempo antico tipiche dell'invecchiamento rancoroso; discorsi appiattiti da tinello marron che raramente hanno il guizzo della battuta e mai della genialità. Gli autori Enrico Vaime e Jaja Fiastri si sono fermati sulla porta della mediocrità, sospingendo lo show verso una convenzionalità quieta e rassicurante, che è anche il limite più forte dello spettacolo. Sono ad esempio scontate le battutacce nei confronti di Masini e di Vasco Rossi, mentre l'educazione del protagonista mal si sposa a piccole volgarità che andrebbero vissute con più convinzione. E il clima generale finisce per richiamare da vicino quello di certi spettacoli tv: forse per non far sentire la nostalgia di casa agli spettatori di mezz'età e oltre. Schiodati per una volta dal video, essi assistono dal vivo alla «scheggia» di Dorelli con le Kessler che gli pestavano i piedi, o alla simpa¬ tica veneranda gag che faceva Bongusto con Minnie Minoprio cantando «Quando mi dici così...». Con il passar del tempo, qualche idea si accende in scena. Sono efficaci i dialoghi musicali attraverso un grande schermo con il santone Modugno e con il compunto Cocciante; ed è molto carino il gran finale con il ricordo delle riviste dei Quaranta-Cinquanta («Attanasio Cavallo Vanesio», «Un paio d'ali», «Un trapezio per Lisistrata») e con le canzoni di Trovajoli e Kramer di cui purtroppo non sembra arrivare ancora l'ora della riscoperta generale. Un karaokino sigla la chiusura con l'autocelebrazione: per «Aggiungi un posto a tavola» vengono scomodate due colombe, liberate in volo nel teatro. E si sente la voce di Dio. L'intervento del quale sarebbe comunque determinante se si volesse, davvero, far rinascere il musical all'italiana. Marinella Venegoni
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