Show di Tassi: saluto romano Mariotto-Marionetto Bossi senza cervello di Massimo Gramellini

8 Show di Tassi: saluto romano, Mariotto-Marionetto, Bossi senza cervello fini svolta, la base frena La Mussolini avverte: o Mastella, o me ROMA. Svoltare, che fatica. Mentre Fini cancella la pena di morte e ammicca alla Lega inventandosi la macroprovincia del Polesine, il gollista igienico Carlo Tassi sale sul podio e solleva il braccio nel saluto che sapete. Ma come, ci risiamo? «Cosa devo fare: tagliarmi i cromosomi?». In effetti, nella tribù neogollista il camerata Tassi da Piacenza rappresenta forse il caso più singolare, e non solo per via della camicia blu-alleanza con cui ha inopinatamente sostituito quella nera e che continua a portare senza giacca, perché lui è contro tutti i doppiopetto di destra e di sinistra. Chiamato a pronunciare l'ultimo evviva sul passato, Tassi in realtà lo ha seppellito, e nel modo più indolore: sotto un cumulo di risate caserecce. «Accetto la svolta, ma per me Mussolini resta un genio. Il genio universale. Accetto la svolta, ma non il nome. Alleanza l'ha già usata quello là: l'Ayala-mayala. Accetto la svolta ma non le alleanze. Non voglio una flebo di Aids. Non posso stare con i Mastella, non voglio Casini in casa mia. Bossi? So che ha un cuore solo perché ha avuto un infarto. Aspetto l'ictus per vedere se ha un cervello. E Segni? Altro che Mariotto: Marionetto». Gli gridano: «Sei meglio di Grillo». E lui: «Io sono meglio di tutti. La modestia è la virtù dei cretini». Poi urla «viva l'Italia», fa il saluto e scoppia in lacrime. Se vince la Destra, sicuro che Berlusconi gli fa fare «Drive In». I delegati applaudono il cabarettista, ma non il gerarca: solo in dieci rispondono al saluto. Qualche altro fa oscillare ima mano a mezz'altezza, poi si accorge che non è più aria e la rimette in tasca alla chetichella. La maggioran¬ za, a braccia conserte, resta gollista senza cedimenti. Sedato anche un principio di rissa fra il guardaspalle di Tassi e un cameraman: «Camerata, basta, non è così che si è democratici». Depurato dal folklore, il monologo di Tassi esprime un diffuso malumore politico. I missini accettano di saltare nel cerchio biancoblù di Alleanza Nazionale, ma non di entrare in cordate imbarazzanti. Berlusconi viene digerito come un utile taxi verso il potere, ma l'orgoglio del partito che muore ha un soprassalto quando si evoca Mastella. «0 me o lui», lo sfida a labbro in fuori Alessandra Mussolini. Sarà la laurea, sarà il trucco leggero, ma l'evoluzione della nipote del Duce è impressionante. Da popolana a quasi (che orrore) intellettuale. Va sul palco a leggere il testo del suo discorso ultra-politico, poi per fortuna si annoia, butta il foglietto e grida quello che tutti i missini hanno nel cuore: «Non accetteremo ricatti da nessuno e tantomeno permetteremo ai vecchi arnesi della prima repubblica e ai portaborse dei vecchi padrini di camuffarsi dietro di noi e dentro di noi. Tanto per esser chiari, non gli permetteremo di toglierci la prelazione nella scelta del collegio elettorale». L'alleanza col Ccd di Casini-Mastella trema sotto il peso degli applausi. E il diplomatico Fini deve subito ribadire che Alleanza nazionale non stringerà mai patti con gli inquisiti. Rimane il problema della Lega. Fini si muove con la consueta scaltrezza. A parole rilucida l'orgoglio di bandiera, annuciando che «An presenterà i suoi uomini in tutti i collegi del Nord». Poi sommessamente aggiunge: «In assenza di fatti nuo- vi». Bisogna riconoscerlo: ce la sta mettendo tutta. Ieri ha abbattuto gli ultimi tabù: la pena di morte («una questione superata»), il corporativismo («siamo per le piccole e medie imprese»), addirittura il mitico centralismo fascista. «Puntiamo sul decentramento intermedio con autonomia impositiva». Formula ancora ambigua, ma è quanto basta per lanciare l'amo alla Lega. «Ci vuole un nuovo ente locale fra il Comune e lo Stato. Basta con le Province e le Regioni: il cittadino le sente estranee». An propone di sostituirle con le macroprovince. Non siamo ancora alle macroregioni di Miglio, ma il passo avanti è notevole. Fini fa due esempi di macroprovincia: «il Polesine e il Cadore». Ma si può tranquillamente continuare: le Langhe, il Monferrato, la Romagna, l'Irpinia, la Ciociaria. Adesso tocca a Bossi: agganciato il bonaparte di Arcore, Fini aspetta un secondo alleato dalla macroprovincia brianzola. Massimo Gramellini La Fiamma «ripudia» anche il centralismo «Macroprovince con autonomia impositiva» Daniela Fini con Teodoro Buontempo e Alessandra Mussolini A destra Carlo Tassi

Luoghi citati: Arcore, Italia, Piacenza, Roma, Romagna