Sulle piste una lunga scia di sangue
Da Leo David ad Alfonso di Borbone altri 14 atleti hanno perso la vita in gara Da Leo David ad Alfonso di Borbone altri 14 atleti hanno perso la vita in gara Sulle piste una lunga scia di sangue IN morte di Ulrike Maier si sgrana il rosario delle tragedie nello sci. Ma forse si deve per prima cosa far notare che l'austriaca è la prima grandissima atleta, di fama internazionale, che perde la vita in una tragedia di gara. Ci sono state altre donne uccise dall'automobilismo, dalla motonautica, dall'equitazione, dall'alpinismo, dalla vela, ma mai si è trattato di personaggi con un nome sufficiente per dare emozione e commozione a tutto il mondo dello sport. La donna in effetti non pratica, o pratica a livello agonistico bassissimo, tanti sport dell'alta velocità, non pratica se non buffamente il pugilato, non pratica, almeno con grinta e decisione, l'hockey su ghiaccio, il football mericano, non pratica il bob (ma pratica l'umile e spesso pericolosissimo slittino, e ci sono ragazze paralizzate per tragedie prive di grandi illuminate ribalte). Lo sci alpino ha visto morire nel dopoguerra, in allenamento o in gara, quattordici fra sciatori e sciatrici, attribuendo alla discesa di Lake Placid la morte dell'italiano Leonardo David, crollato sulla neve mentre, il 3 marzo 1979, stava completando la prova preolimpica in vista dei Giochi 1980 e deceduto dopo un lunghissimo coma il 27 febbraio 1985. Le morti riguardano, in ordine di tragedia. Toni Mark austriaco e John Semmelinck canadese nel 1959, Ross Milne australiano e Walter Mussner italiano (sul chilometro lanciato di Plateau Rosa) nel 1964, Silvia Suter svizzera nel 1969 (a Sauze d"Oulx, contro un albero della Gran Pista, lontano dal tracciato di gara), Michel Bozon francese nel 1970, David Novelle statunitense nel 1972, Michel Dunjon francese e Markki Vuopals finlandese nel 1975, Leonardo David italiano nel 1979 (tenendo conto dell'anno dell'in¬ cidente con conseguenze irreversibili), Gernot Reistadler austriaco nel 1991, Peter Wirnsberger austriaco e Nicolas Bochatay svizzero (specialista del chilometro lanciato, ucciso ad Albertville olimpica dall'urto in allenamento contro un gatto delle nevi) nel 1992, Katrin Thorin svedese nel 1993. E adesso la Maier (tre donne, dunque: una svizzera, una svedese, un'austriaca). Si può ascrivere poi ai morti dello sci da discesa anche Alfonso di Borbone, cugino del re di Spagna, altissismo dirigente internazionale, che ebbe la gola squarciata da un cavo metallico delimitante la pista mentre provava la libera di Vail, ai campionati mondiali 1989. Assortite le circostanze delle tragedie. Wirnsberger, omonimo di un discesista di grandissima fama, si stava rilassando in una sorta di allenamento defatigante, finì contro un palizza¬ ta. Di David si sa tutto e in un certo senso non si sa niente: rialzatosi, il ragazzo di Gressoney finì la prova, pochi metri ancora, e nacquero le polemiche sulla sua situazione fisica prima della discesa, mortale ma forse non assassina. L'elenco è tristissimo, ma considerando la grande attività, le straordinarie pulsioni, e dando il giusto peso alla fatalità, non sembra tale da far aprire un discorso duro sull'opportunità delle gare alpine (quelle di fondo sono innocue, si ricorda casomai l'avventura di Marcello De Dorigo perdutosi in allenamento, vagante per una notte intera nei boschi di Voladalen, Svezia, e ritrovato con i piedi congelati). Le precauzioni, come anche nella una volta criticatissima Formula 1, sono tante, le certezze per condannare appartengono forse troppo al sensazionalismo o alla rovinologia. lg. p.o.]
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