Dopo il rogo l'avarizia di Roma di Maurizio Lupo

Dopo il rogo l'avarizia di Roma Il laboratorio della Biblioteca Nazionale ha lavoro fino al 2000 inoltrato, ma rischia di chiudere ben prima Dopo il rogo l'avarizia di Roma Maghi del restauro a un milione e mezzo il mese Il laboratorio di restauri della Biblioteca Nazionale, che da 90 anni cura il recupero dei 2800 manoscritti e codici millenari malamente scampati il 25 gennaio 1904 all'incendio della sede di via Po, rischia di chiudere prima di finire il suo lavoro. Dell'incendio e dell'opera di ricupero abbiamo parlato l'altro giorno. Torniamo sull'argomento per ricordare come tutto in Italia procede lento e come lo Stato tratta chi sa lavorare con grande perizia e dedizione. L'ultimo consuntivo del febbraio 1986 parlava di 1600 manoscritti restaurati in 82 anni e di altri 500 da risanare. Se ne deduce che si andrà ben oltre il 2000. Ma le ultime restauratrici, Rosa Milia e Carmelina La Rocca, inquadrate con un milione e mezzo il mese, sono prossime alla pensione. E non si prevedono assunzioni. «Senza rimpiazzi ammette Angelo Zaccaria, responsabile dei restauri - dovre¬ mo chiudere». Sarebbe la fine del primo e più vecchio laboratorio di restauro in una biblioteca pubblica italiana. Fu inaugurato il 5 febbraio 1905 dalla Regina Margherita, per tacitare i torinesi che sulla Stampa del 27 gennaio 1904 imputarono l'incendio «alle colpe dell'ignoranza e dell'incuria dei burocrati di Roma». La protesta valse lo stanziamento di 750 mila lire e una legge che nel 1907 assunse l'impegno di costruire una nuova sede alla Biblioteca. I lavori in piazza Carlo Alberto incominciarono mezzo secolo dopo, nel 1959. Finirono nel 1972. Nel frattempo la Biblioteca, ancora in via Po, perse altri 15 mila volumi sotto i bombardamenti del 1942. E il laboratorio? Dal 1904 al 1918 fu affidato al grande restauratore Carlo Marre. Gli succedette nel 1921 la sua allieva Erminia Caudana. E' a questa donna semplice e taciturna, nata a Torino nel 1896 e morta nel 1974, che la città deve il recupero di tanti documenti. Mise a punto un metodo segreto che risanava pergamene uscite dall'incendio agglutinate in duri blocchi anneriti. «Nelle sue mani sapienti - ricorda l'archeologo Silvio Curto - il volume crocchiante e frangibile a un tocco si distendeva morbido come uscito di fabbrica e la pagina oscurata da umido e muffa tornava nitida». Il tutto secondo metodi che ancora oggi richiedono dai 3 ai 15 giorni per pagina. Ma Erminia Caudana non aveva titoli e lo Stato, pur dandole lavoro, per anni non la assunse. «Mia zia ed io - spiega il nipote Amerigo Bruna, che dal 1951 fu suo allievo - nel 1966 come lavoratori autonomi ricevevamo insieme dal ministero non più di 800 mila liie l'anno, comprensive di spese». Fu solo in età avanzata che Erminia Caudana fu assunta al Museo Egizio. Innamorata del lavoro, accettò di buon cuore la beffa ministeriale che la assunse come restauratrice «avventizia», nonostante la sua strabiliante esperienza, che permise di salvare tesori quali i papiri della tomba di Tutankamon e copie dei Vangeli di Marco e Matteo. «Morì - ricorda il nipote - con soldi che le permisero appena l'acquisto di un loculo». Anche Amerigo Bruna oggi è pensionato. Dice d'essere andato a riposo con il livello che aveva quando entrò in ruolo 17 anni fa. E' amareggiato: «I segreti di mia zia per ora non intendo divulgarli. C'è qualcuno che finora ha dimostrato interesse?». La Biblioteca ogni anno chiede a Roma almeno 250 milioni. «Ma nel 1993 - nota il direttore Selvaggi ne abbiamo avuti un centinaio». Maurizio Lupo La grande Erminia Caudana salvò i papiri di Tutankamon e Vangeli antichi, ma morì con appena i soldi per pagarsi un loculo

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