«Volevano aiutare gli orfani» di Giuliano Marchesini
Sì ai bombardamenti Nato Trieste sgomenta: «Erano lì per filmare i bambini abbandonati a Mostar» «Volevano aiutare ali orfani» // direttore: «Lucchetto, era entusiasta del servizio» Avevano i giubbotti antiproiettili ma non sono serviti TRIESTE DAL NOSTRO INVIATO Erano partiti per andare in mezzo alle sofferenze, riprendere con la telecamera i feriti, fare un servizio sui bambini raccolti nelle zone di battaglia e ricoverati nell'ospedale della città bosniaca. Nel tardo pomeriggio di ieri, è piombata a Trieste la notizia che sono morti, uccisi da una granata. La città l'ha saputo poco più tardi, quando il vicedirettore della sede triestina della Rai, Fulvio Molinari, ha parlato con voce incrinata in apertura del Tg regionale. «Li avevo mandati io a Mostar - ha detto Molinari - su richiesta della redazione degli speciali del Tgl». Dovevano andare dentro la parte croata della città, per andare incontro a quegli orfani che non hanno più nemmeno il cognome, perché non si sa come si chiamassero i loro genitori. «Lucchetta - ha raccontato Molinari - era entusiasta di quel servizio». Il giorno prima si erano fermati a Medjugorie, e ieri erano partiti per Mostar, seguendo una colonna della Croce Rossa scortata dai Caschi Blu. ((Avevano tutti e tre i giubbotti antiproiettile precisa il direttore della sede regionale della Rai - ma sono stati centrati da una granata». Dopo le notizie, è andato in onda l'ultimo servizio realizzato da Lucchetta nell'ex Jugoslavia: lui, con i suoi collaboratori, aveva documentato gli ostacoli che i convogli di camion che portano aiuti umanitari incontrano nella mar- eia verso Mostar. Attraverso i televisori, i racconti ancora sommari, la gente di Trieste ha vissuto la tragedia di un giornalista, un operatore e un tecnico in quella terra maledetta al di là del confine. E nel palazzo della Rai, i colleghi che piangevano, i telefoni della redazione che squillavano di continuo. Tanta gente che chiedeva informazioni, dall'Italia e dall'estero, telespettatori che domandavano: «Ma quand'è che finisce quella guerra?». Marco Lucchetta, 41 anni, sposato e padre di due bambini ; Dario D'Angelo, anch'egli di 41 anni, sposato, con una figlia; Alessandro Ota, 37 anni, che lascia la moglie e un bambino. Che sono morti a Mostar, i familiari lo hanno saputo dai giornalisti: La gente ri¬ pete che non si può, andare a morire così. Marco Lucchetta lo conoscevano in tanti, qui a Trieste. Era stato conduttore di programmi d'intrattenimento e di sport all'emittente privata Telequattro, poi il passaggio alla Rai, quattro anni fa. Uno che nel lavoro si buttava, dicono. Con quell'entusiasmo di cui ha parlato Fulvio Molinari. Lucchetta avrebbe dovuto fare un servizio a Mostar poco prima di Natale, ma non potè raggiungere la località della Bosnia perché non era ancora riuscito ad avere tutti i documenti necessari. E' partito due giorni fa dalla sua casa di viale Miramare, per andare a realizzare quell'altro servizio, sui bambini bosniaci senza nome. Alla moglie e alla figlia ha detto: «State tranquilli, tonerò presto». Ed è partito con Alessandro Ota, l'operatore, e Dario D'Angelo, specialista di riprese. Anche loro di quelli che nel lavoro non si tirano mai indietro. Loro, tra l'altro, conoscevano bene lo sloveno ed erano già stati impiegati per altri servizi in Dalmazia e in Erzegovina, al seguito di convogli che trasportavano aiuti umanitari. Di esperienze drammatiche, Marco Lucchetta ne aveva vissute altre: era stato inviato nelle zone del terremoto del Friuli, nel '76, quando ancora lavorava in una radio privata triestina. Adesso, si aspettano le salme di Marco Lucchetta, Alessandro Ota e Dario D'Angelo, che dovrebbero arrivare oggi e Falconara, e forse in serata sranno a Trieste. Il pre¬ sidente della giunta regionale del Friuli - Venezia Giulia, Renzo Travanut - dice: «E' una tragedia insensata, che ha mietuto tre vittime impegnate nello sforzo di documentare e mostrare al mondo una guerra piena di orrori, di fronte ai quali gli organismi internazionali sembrano inermi e privi di una reale volontà di trovare una soluzione». Travanut ripete che le esecrazioni non bastano più. «E' necessario uno sforzo convinto e disinteressato da parte di tutti, per porre pacificamente fine a questo conflitto. Possa il sacrificio di questi tre uomini aprire gli occhi a chi non vuol vedere la tragedia che si sta svolgendo a poca distanza da noi». Giuliano Marchesini A sinistra un convoglio Onu in Bosnia. Sopra, profughi a Sarajevo
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