Un libro per pentirsi il camerata deve morire di Emanuele Novazio

20 IL CASO. Berlino, i naziskin a caccia del loro ex leader Un libro per pentirsi il camerata deve morire BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Adesso che hanno cercato di ucciderlo, di «punire» il suo «tradimento» con un pacco-bomba fortunatamente difettoso, Ingo Hasselbach ha paura. Si nasconde, si sposta continuamente e soltanto in macchina: senza più salire su un autobus, senza più fidarsi a prendere il metrò. Nell'appartamento di Kreuzberg, a Berlino, il telefono suona a vuoto, alla porta il suo nome non c'è più, la sua casa è una valigia. Non sono cautele esagerate: Ingo sa che i camerati ai quali ha insegnato la violenza non lo perdoneranno mai di essersi «pentito» dopo aver raccontato, in un libro, la sua «uscita dall'inferno». Da quando la Aufbau Verlag ha pubblicato La resa dei conti una lunga «lettera al padre» nella quale il giovane Fùhrer rinnega il neonazismo - le minacce sono diventate un'abitudine con la quale convivere per forza. E quell'avvertimento al telefono ripetuto di continuo, «la pagherai maiale, ti beccheremo porco», Ingo lo considera soltanto un pegno per la «conversione», per la liberazione dal passato maledetto. Perché di «tradimenti» Ingo Hasselbach - 26 anni, capelli biondi a spazzola, due metri di statura - ne ha consumati due. Il primo all'Est, nel cuore del regime comunista, dov'è nato: in una famiglia devota al Partito, in una scuola dove dominava l'obbedienza ai testi e ai dirigenti «appesi alle pareti, a sorvegliare». Il secondo, quando la Ddr e il Muro si erano dissolti: mentre «tutto è ormai in frantumi» e Ingo si mescola alle bande naziskin che affluiscono dall'Ovest, fino a diventarne un leader. La resa dei conti è il racconto aspro di quegli anni, la ricostruzione di due ribellioni alle quali manca un epilogo, ancora. Comincia a Lichtenberg, un quartiere orientale fatto di ciminiere, di fumi densi, di prefabbricati socialisti. Ingo è ancora «un ragazzino vivace», ricorda adesso la madre (che tace il suo nome per paura di altre violenze). L'arrivo in casa di un patrigno che lo accusa di non avere aspirazioni, lo spinge in strada: Ingo ha soltanto 8 anni, ma frequenta giovani sbandati che come lui cercano «un'alternativa alla famiglia». A 13 anni scopre l'universo hippy, ancora sotterraneo all'Est, e ne subisce il fascino; entra in una comune, si mescola alle bande punk, frequenta mitici locali alternativi. E per la prima volta cade nella rete della Stasi, la polizia politica sospettosa di qualsiasi «approdo in Occidente». Lo si tiene d'occhio, non ci si fida più di lui. Ci vuol poco ormai a fare «il salto della violenza». Il confine fra destra e sinistra, fra protesta contro il regime e ribellione alla famiglia gli appare fragile e ambiguo, in una società che si sta aprendo all'irruzione della storia: soltanto la violenza riesce a dar senso al gruppo, soltanto le aggressioni di strada sono capaci di aggregare. Il giovane ribelle ne ha conferma in carcere, dove finisce per aver invocato la distruzione del Muro e la fine del regime: decide che «se lo Stato mi accusava di essere di destra, sarei diventato davvero di destra». Quasi subito raccoglie intorno a sé una banda: ragazzi col capo rasato, vestiti di nero, affascinati dal richiamo del nazismo. Una casa vuota e sinistra, a poche centinaia di metri dall'A- lexanderplatz, diventa «il covo» dal quale partono le incursioni punitive contro gli autonomi e i turisti occidentali. Nelle sue stanze tetre, arredate soltanto con scatoloni e sedie, Ingo organizza «incontri di istruzione nazionalsocialista», letture delle opere di Hitler, seminari artigianali sul Terzo Reich. , , Quando la Ddr non c'è più e conosce Michael Kùhnen - leader incontrastato della galassia neonazista, morto di Aids due anni dopo - la carriera di Ingo Hasselbach compie un balzo decisivo. Fonda «Nationale Alternative», un gruppo ora al bando, e teorizza un «nuovo ordine» nel quale il mondo è dominato da una «Germania in camicia bruna». Ma soprattutto affida l'attitudine di capo carismatico alla violenza contro nemici-emblemi, gli stranieri e i «rossi». Fino all'estate del '92, fino alle barricate di Rostock: quando nella città baltica esplode l'aggressività xenofoba delle bande neonaziste, Ingo ha i primi dubbi, che rafforza ascoltando le ragioni dei giovanissimi incursori, i silenzi diventati sfida, gli slogan lugubri cantati come un inno alla vittoria. Il rogo di Mòlln, nel quale poco dopo muoiono tre turche, lo convince: la «rete nera» va tagliata, bisogna spezzare l'inganno, confessare l'errore mostruoso. E' il secondo tradimento, e La resa dei conti finisce con «un segnale» del «disertore» ai camerati: l'invito a fuggire dal passato, a guardare avanti, a «farsi coraggio» e «rompere la trappola». A non cogliere l'occasione della messa al bando, decisa dal governo nei confronti di alcuni gruppi, per rinascere nella clandestinità sul modello della Raf, il terrorismo di sinistra. «Mi sembra impossibile aver fatto propaganda a idee nate sull'odio, mi sembra impossibile aver cercato di convincere dei giovani a diventar nazisti. Adesso guardo al mio passato come a un incubo, ma vorrei vivere una vita qualsiasi, normale», scrive Ingo alla fine della lunga «lettera» a suo padre. Non ce l'ha fatta, ancora, e forse non ce la farà mai: ii pacco-bomba, le minacce, le scritte sotto casa gli ricordano che ha scelto la vita del reietto, che d'ora innanzi dovrà stare ai margini. «Pensare - ha confidato al suo editore - che a volermi far fuori è certo un cretino, uno di quelli che mi sono allevato io». Emanuele Novazio Dopo il rogo diMòlln ha rinnegato tutto e ora vive blindato: un Rushdie tedesco «Chi vuol farmi fuori è un cretino, di quelli che ho allevato io» Per i giovani naziskin la violenza è spesso una forma di aggregazione

Persone citate: Hitler, Ingo Hasselbach, Lichtenberg, Michael Kùhnen, Raf, Rushdie

Luoghi citati: Berlino, Ddr, Germania