le scortesie dell'ex colonia di Fabio Galvano

le scortesie dell'ex colonia le scortesie dell'ex colonia I sederi dei maori e il referendum anti-regina LA SPINA AUSTRALIANA LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Sarà anche il dramma dei «boat people» ad avere scatenato ieri l'aggressore del principe Carlo, ma è l'Australia la vera spina nel fianco della famiglia reale inglese. Tutto era cominciato, anni fa, con un aborigeno che per esternare i suoi sentimenti antimonarchici aveva mostrato il sedere alla regina Elisabetta che passava sorridendo alla folla plaudente. Lo happening era riuscito, perché altri aborigeni l'avevano poi imitato ed Elisabetta - colta alla sprovvista la prima volta aveva perfezionato un rapido dietrofront. Ma poi era successo di peggio: nel 1986, quando già si profilavano sull'orizzonte australiano le prime rivendicazioni repubblicane, due giovanotti avevano cercato di rinfrescare la sovrana e il principe Filippo con un idrante antincendio. La realtà australiana che ha ora accolto Carlo, in un viaggio in realtà destinato a riconquistargli simpatie in Inghilterra più che a perorare la causa monarchica agli antipodi, è di un Paese intento a scrollarsi di dosso il passato coloniale. Non a caso, nel discorso pronunciato subito dopo l'incidente di ieri, Carlo non ha esitato a toccare quel tasto: dando, in sostanza, via libera alla volontà degli australiani. Il primo ministro Paul Keating ha sempre detto che vuole un re¬ ferendum, che mira all'Australia repubblicana entro il 2001; e lo ha anche ripetuto a Elisabetta quando, in settembre, è venuto a Londra. Gli inglesi reagiscono offesi; anche perché il premier australiano si permette - lo ha fatto durante l'ultima visita della sovrana a Camberra - di metterle il braccio alla vita; o perché sua moglie non ha fatto l'inchino al principe Carlo. La realtà è che il calderone etnico dell'Australia, sostanzialmente modificato negli ultimi 30 anni rispetto alle sue origini britanniche, è sempre meno anglofono e anglofilo. Il 40% degli australiani non ha alcun legame con la «vecchia madre Inghilterra». Carlo ne ha preso atto. Nel discorso pronunciato ieri sera, per nulla scosso dall'attacco subito pochi minuti prima, ha fatto un chiaro riferimento alle forze dell'emancipazione nazionale. «Forse hanno ragione», ha detto. Ha riconosciuto che la società moderna è pervasa da un sentimento d'incertezza: «Non è quindi sorprendente - ha detto, applaudito - che taluni desiderino vedere un riflesso dei rapidi cambiamenti internazionali anche sulle istituzioni australiane. Non è sorprendente che ci siano diversi punti di vista: alcuni preferiranno la stabilità di un sistema collaudato negli anni, altri vedranno vantaggi nel fare le cose in modo diverso. Ma voglio sottolineare che soltanto il popolo au¬ straliano può decidere. Qualunque sia la decisione, avrò sempre un grande affetto per questo Paese». Applausi. «Non ci tireremo indietro di fronte al nostro futuro», ha detto Keating celebrando la festa nazionale. Ma ieri il primo ministro del Nuovo Galles del Sud John Fahey, che ha preso la parola dopo Cario, ha sottolineato che «occorre pensarci bene e a fondo». In effetti ha subito una piccola battuta d'arresto l'immagine dell'Australia repubblicana, senza la Union Jack in un angolo della bandiera, senza il «Dio salvi la regina» nelle cerimonie ufficiali e senza la «sottomissione culturale» denunciata da Keating. L'ha subita da quando la ripresa economica ha restituito un po' di fiducia agli australiani e un sondaggio ha rivelato che adesso la schiera monarchica è passata dal 38 al 48%. L'immagine di Elisabetta è persino ricomparsa sui biglietti da 5 dollari. Eppure la sovrana non può dimenticare quell'aborigeno, tanti anni fa. Fabio Galvano Il principe Carlo tra una tribù di aborigeni

Persone citate: Carlo, Elisabetta, John Fahey, Keating, La Spina, Paul Keating

Luoghi citati: Australia, Galles, Inghilterra, Londra