Detroit, dal fango al boom

Detroit, dal fango al boom Detroit, dal fango al boom Gm, Ford, Chrysler: i segreti del miracolo LA SECONDA GIOVENTÙ' DELL'AUTO USA LWASHINGTON E città dell'auto fanno i conti. E non è detto che dal ciclone, che investito l'intera industria mondiale, non si esca. Un paio di settimane fa, il proprietario di un teatrino comico di Detroit ha ricevuto una curiosa richiesta. La Chrysler Corporation voleva affittare il suo locale per il tradizionale pranzo in occasione del Detroit International Auto Show. Dopo il pasto, consumato in un'atmosfera di allegria insolita tra uomini d'affari, il presidente della Chrysler Robert Eaton, ha fatto l'immancabile brindisi pieno di battute e ha aggiunto: «Questo dove siamo ora è un posto in cui la gente viene per divertirsi e noi alla Chrysler adesso ci stiamo divertendo un mondo». Il successo, infatti, diverte. Per la Chrysler il '93 ò stato un anno d'oro, ma se al posto di Eaton ci fossero stati i presidenti della Ford o della General Motors, l'atmosfera sarebbe stata altrettanto allegra. Secondo un rapporto reso noto pochi giorni fa, le «Big Three», che solo tre anni fa erano date per morte, nel '93 hanno incrementato le vendite del 10,4% sull'anno precedente, mettendo i giapponesi nell'angolo per la prima volta dopo oltre dieci anni. L'auto americana è uscita dalla sala di rianimazione e gode di eccellente salute. Detroit, la sua mitica e rugginosa capitale, torna a sorridere dopo la grande paura. I dati sono molto incoraggianti. Le Big Three hanno venduto 14 milioni di veicoli nel '93, pianificano di venderne 15 milioni quest'anno e di superare subito dopo il loro picco storico di 16 milioni. Hanno ripreso il controllo del 74% del mercato americano, dal 72,4% di un anno fa. La «fetta» giapponese è scesa più che in proporzione, 3 punti, restringendosi al 23%. L'occupazione che, nella disastrosa decade degli '80, era scesa del 18%, da 717 mila a 593 mila unità, sta riprendendo. Sono stati richiamati 41 mila operai solo negli ultimi mesi e la Ford, per esempio, sta assumendo manodopera per la creazione delle linee di 14 nuovi modelli. Le Big Three godono di una straordinaria situazione di liquidità, anche se la General Motors deve an¬ cora vincere la battaglia per il suo completo risanamento, dopo le spese folli degli anni passati Una straordinaria penetrazione nel mercato sudamericano comincia a far sognare anche il colosso malato. «I prossimi due anni possono essere immaginati come gli anni dell'auto americana», sostiene, preoccupato, Helmut Panke, capo della Bmw Usa. Tutto questo non sarebbe successo se una divinità arcana, che si potrebbe chiamare Santa Valuta, non avesse fatto i capricci. Nell'arco dell'ultimo anno, lo «yen» è arrivato a apprezzarsi sul dollaro fino al 100%, prima di calare un po' per effetto di alcune speculazioni valutarie. Gli agili, normalmente mobilissimi e svelti giapponesi si sono trovati «a correre in salita», come confessa Richard Colliver vicepresidente della Honda americana. Lo yen alto ha imposto prezzi più alti. In media, ogni vettura giapponese è venuta a costare circa 2 mila dollari in più della diretta concorrente americana. Nel segmento più sensibile, le medie cilindrate, la differenza di prezzo è arrivata a superare i 3 mila e 500 dollari. «Lo yen ci sta uccidendo», si sfoga Joe Myers della Toyota di Houston. Battere i giapponesi è così stato un gioco da ragazzi, che tuttavia sarebbe stato ugualmente perso se l'industria dell'auto americana non si fosse nel frattempo messa in condizione di cogliere l'occasione. Per caso e per virtù, dopo molti errori, erano state compiute delle scelte giuste. Alla Ford ricordano come una specie di scena biblica quella riunione dell'agosto dell'86 in cui gli affranti dirigenti decisero di lasciare il quartier generale di Dearborn per rinchiudersi in una suite dell'Hotel Hilton di Novi e parlare fuori dai denti. Fu lì che l'alio e cordiale Louis Ross disse: «State a sentire quello che dobbiamo cercare di fare è immettere danaro nel settore dei camion leggeri, una cosa come il 70% in più nei prossimi cinque anni di quanto speso negli ultimi cinque». Forse fu per disperazione che gli dettero retta. Ma sta di fatto che i camion leggeri, vale a dire i minivan per le famiglie, i gipponi quattro ruote motrici e i pick-up, non solo producono un margine di guadagno più alto di un'auto normale, ma sono diventati la gran moda degli Anni '90. Sono loro che hanno tirato gran parte del mercato, non solo per la Ford, ma anche per la Chrysler, che proprio quell'anno lanciò il suo minivan «Astra». Per di più è un settore in cui i giapponesi sono marginali e le americane controllano più del 90% del mercato interno. La grande idea della General Motors fu il «value pricing», poi adottato anche dalle concorrenti: si tratta di mettere in un solo pacchetto, offerto nella versione di serie, quelli che normalmente vengono chiamati «optional» e vengono pagate a parte, abbassando contemporaneamente il costo della vettura. Intanto, mentre calavano i costi, migliorava anche la qualità. Negli Anni '80, quando le Big Three commisero il grosso errore di sottovalutare i giapponesi, la ricetta fu un po' di protezionismo e comprare un po' di marche nobili in Europa. Una delle conseguenze non volute di questa politica, fu che i giapponesi, finora noti per macchine solide, a buon prezzo ma senza sex-appeal, si spostarono sul segmento di mercato più alto, fornendo macchine di lusso ad alta qualità. L'Honda Accord è così stata per parecchi anni, fino all'ultimo, la macchina più venduta negli Stati Uniti. Le Big Three stavano per passare allo storia. Della Chrysler si parlava già al passato, come della Studebaker o della Tucker. Ma, dopo le divaganti diversificazioni finanziarie di Lee Iacocca, o i farraginosi programmi di rilancio come il GmlO della General Motors, le americane concentrarono fondi per migliorare la qualità del prodotto e incontrare il gusto della clientela. Il coraggio imprenditoriale, unito, come spesso accade, alla fortuna, ha vinto. Le Big Three, simbolo dell'industria americana, sono di nuovo guardate con orgoglio da un popolo che ha scoperto quanto sia bello andare ai lavoro in giacca e cravatta su un camioncino col rimorchio. Paolo Passarmi Nel 1993 le «Big Three» hanno fatto il pieno Il pericolo giallo? Con il caro-yen è un ricordo Sopra, un impianto di Detroit. Accanto. Bob Eaton, Chrysler

Luoghi citati: Detroit, Europa, Houston, Stati Uniti