Aiuto, fatemi uscire

Aiuto, fatemi uscire Aiuto, fatemi uscire Impossibile lasciare il personaggio al quale è legata la propria fama Basta con il ruolo di vamp, basta con quello di cattivo, basta con la parte eterna di comico, o con quella di agente segreto? A volte non si riesce. Nel cinema bisogna stare attenti, e gli attori lo sanno. Se il pubblico e gli addetti ai lavori incominciano ad inquadrarti in un ruolo, è finita: schiodarsi da quella parte può diventare quasi impossibile. Gli esempi sono molti. Vanno dallo 007 di Sean Connery, che l'attore disse di essere arrivato a odiare, al sempre perfido Vincent Price, al nostrano comico ad oltranza che fu Carlo Dapporto. Di lui il figlio Massimo ha confessato in un'intervista: «Mio padre non ha mai osato allontanarsi dal suo cliché per paura di deludere i suoi ammiratori». Da Hollywood a Cinecittà, i problemi sono gli stessi. E i casi di artisti legati come in un matrimonio forzoso al proprio personaggio più celebre sono tantissimi. Laura Antonelli diventò ima star con «Malizia» di Salvatore Samperi, un piccolo classico nel suo genere: era il 1973 e la sua figura, con calze nere e reggicalze in cima a una scala, rimase nell'immaginario italiano come il sex-symbol di quegli anni. Bella, sensuale e donna: ma di lì non si usciva, e la Antonelli non riuscì più a riciclarsi. Dopo un periodo di filmetti rosamediospinti, e il successivo oblio, l'attrice fu costretta, a quasi ven- t'anni dal primo, nel '91, a riproporsi in «Malizia 2000», ancora di Samperi. La pellicola andò male e la Antonelli, che in quel periodo ebbe anche problemi con la giustizia per droga, ne uscì persino con guai fisici. In seguito a un intervento antirughe al viso, voluto dalla produzione, le venne infatti un'allergia che quasi la sfigurò. «La mia vita è diventata un inferno e non riesco più a lavorare disse allora -. Il cinema mi ha voltato le spalle». Essere una vamp e un simbolo sessuale a tutti i costi, anche lottando contro il tempo, non è facile. Lo sa bene Serena Grandi, che è rimasta bollata dalle sue apparizioni hard sullo schermo targate Tinto Brass. Ma anche oltreoceano succede lo stesso. Kim Basinger, la sensualissima protagonista di «9 settimane e mezzo», in questo periodo sommersa dai problemi e dai debiti, afferma di aver paura d'invecchiare: i registi, sciupata, non la sceglierebbero più per i ruoli che le hanno appiccicato addosso in seguito a quel primo, scomodo, successo. «Gli uomini possono invecchiare - dice Kim - e diventare Clint Eastwood e Paul Newman. Le donne semplicemente tramontano». Per dimenticare gli anni (40), l'attrice da un po' si è lanciata in parti comiche: i critici hanno detto che era brav a, ma il marchio di femmina fascinosa e intrigante le è restato lo stesso. Chi venderebbe l'anima (artistica) al diavolo per un ruolo tutto da ridere è invece Barbara De Rossi, che si lamenta perché la scelgono sempre per «ruoli drammatici, di grandissima sofferenza umana». «Ho fatto di tutto, persino la cieca - racconta -. Ora vorrei finalmente recitare un personaggio normale». E dire che tanti comici sono nella situazione opposta. Jerry Cala, secondo la critica bravissimo «uomo comune» nell'ultimo film di Marco Ferreri «Diario di un vizio», non ha fatto però centro al botteghino: il pubblico è abitudinario e preferisce riconoscerlo nelle solite commedie all'italiana dello yuppismo Anni Ottanta. Ma allora chi cerca di cambiare sbaglia? Non è detto. Anche chi si ripropone sempre nella stessa parte non viene premiato. Così Arnold Swharzenegger, il duro che più duro non si può: come forzuto eroe senza paura ha stufato e il suo «Last Action Hero» è stato un emerito flop. Cristina Caccia

Luoghi citati: Cinecittà, Hollywood