«lo Pel di carota vittima della Prima Repubblica» di Pierluigi Battista

E Rita e Teddy Reno: colpa del Caf, noi non ci siamo piegati «lo, Pel di carota, vittima della Prima Repubblica» ILJ'ACCUSE DELLA PAVONE E ARICCIA intanto, prima di partire con la troupe di Paolo Liguori per Sarajevo, Pel di Carota scrive. Nel rifugio di Ariccia proprio lei, Rita Pavone, picchia i tasti del computer. Un foglio dietro l'altro, un capitolo dietro l'altro, ed ecco che prende forma Una ragazza quasi perbene, l'autobiografia in cui Giamburrasca, che intanto si è avvicinata inesorabilmente alla cinquantina, racconta l'infanzia difficile della figlia di un operaio Fiat, e poi la popolarità, il successo, il boom, le tournée. E poi le disillusioni, le difficoltà, i tradimenti. E le «persecuzioni». E l'«ostracismo». E la «congiura del silenzio». E addirittura 1'«apartheid». Sì, «le persecuzioni», ribadisce Pel di Carota mentre il viso si rabbuia. Sì, «l'apartheid», tuona accanto a lei l'inseparabile Teddy Reno. Ma insomma, perseguitata da chi? Ostracizzata, messa ai margini, oscurata da chi? E perché mai? «Ma dalla Prima Repubblica», risponde il marito, «dalla partitocrazia, da Tangentopoli, dal sistema». «Evidentemente sono un personaggio scomodo», sentenzia lei: «Non ho mai fatto parte di clan, non ho mai voluto ungere le ruote». «Ungere le ruote, in senso letterale», aggiunge lui: «Ma lo sa che nell'85 due figuri si fecero sotto in un ristorante romano per venirmi a dire, senza pudore, che se avessi sborsato un'ottantina di milioni la partecipazione di Rita a Sanremo era assicurata?». Verrebbe da rispondergli che sono storie arcinote. Ma con che animo gelare il sacro furore con cui la coppia Reno-Pavone si è messa in testa di scoperchiare le nefandezze della «maledetta Prima Repubblica», le efferatezze del regime e persino del «Caf», sigla che Teddy Reno cita come sintesi di ogni male e di ogni soperchieria? E' lei, Pel di Carota, che vuol raccontare fino in fondo la storia di una «ragazza quasi perbene». Una ragazzina che, narra la leggenda, nel 1963 fu avvicinata nientemeno che da Palmiro Togliatti. «Altro che leggenda», risponde lei, «durante la Festa dell'Unità di quell'anno Togliatti volle conoscermi. Immagini lei l'emozione di una ragazzina di nemmeno 18 anni. Mi stringe la mano e mi dice: "sono un suo ammiratore, mi piace la sua verve, trovo che lei abbia un'energia che incanta e magnetizza". Parole testuali. Lì per lì rimasi sorpresa di quei complimenti. Poi ho scoperto che tra i mici fans c'era un sacco di gente importante». Per esempio? «Mi viene in mente qualche nome: Dino Buzzati, Ignazio Silone. E Umberto Eco mi ha dedicato un suo studio in cui c'era scritto che io incarnavo un personaggio androgino». Mica male, come referenze. Ma con le «persecuzioni» del regime, come la mettiamo? «C'è un episodio all'origine di tutto». Ce lo racconti. «Anno 1968: io e Ferruccio...». Che poi è suo marito Teddy Reno. «Certo, che è proprio lui. Insomma una sera, ero incinta di mio figlio Alessandro, io e Ferruccio guardiamo la tv. C'è Doppia coppia, con Noschese, Bice Valori, la Vartan e Lelio Luttazzi. A un certo punto della trasmissione arriva il colpo: in uno sketch fanno una parodia della nostra storia». E che c'è di male?. «Che c'è di male?»: stavolta a parlare è Teddy Reno, infuriato indignato inferocito come deve essere stato tale e quale in quella sera di 25 anni fa. «In pratica ci rappresentano in questo modo: Rita come una poco di buono, io come un pappone, mio figlio come un bastardello». «Ci guardiamo stupefatti. Il tempo di inghiottire l'amarezza e poi subito la scelta della querela. La querela contro la Rai: sa che cosa voleva dire allora per una cantante di successo querelare Mamma Rai?». C'è da im- maginarlo. «Andiamo dall'avvocato Giovanni Leone», prosegue, «non è un caso di omonimia. E' proprio il Leone che diventerà presidente della Repubblica, quello che tra una mossetta e un motto partenopeo ci sconsiglia, prende tempo, accampa scuse. Insomma si rifiuta di difenderci. Andiamo avanti lo stesso. Ma nel bel mezzo del processo arriva l'amnistia per i reati minori. La diffamazione era un reato minore. Ergo noi veniamo fregati e da quel momento comincia il black-out, ha inizio il "bieco ventennio"». Signora Pavone, non vi pare di star un tantino esagerando? «Esagerazioni? Giudichi il letto¬ re: da quel momento, tranne sporadiche eccezioni, sparisco dalla Rai. Sparisco da Sanremo. Mi dimentica la tv democristiana di Amintore Fanfani. Con la riforma della Rai, è sempre la stessa storia. Non sto col clan di Pippo Baudo, nemmeno con quello di Arbore e con quello di Boncompagni. E allora via, sparita. Idem da Sanremo dove nella Prima Repubblica si accede solo dietro raccomandazione politica. E' stato così con Radaelli...». «Radaelli nel senso di Andreotti», carica Teddy Reno. «Con Ravera...». «Nel senso di Forlani», sovraccarica lui. «Con Aragozzini...». La solita voce: «Nel senso di Biagione, ossia nel senso di De Mita». Già, Aragozzini: quando è finito in prigione, lei, Teddy Reno, non è che si sia profuso in dichiarazioni di solidarietà. «E pensare che non ho niente contro di lui. Anzi mi stava quasi simpatico quando andava incontro a Rita e diceva: "a Ri, sei un lembo di storia patria". Poi si scusava per l'ennesima esclusione confessando: "c'è qualche grana". Poverino, lui eseguiva soltanto gli ordini». E chi era mai il grande vecchio? «Parlo solo di coincidenze», risponde Pel di Carota, «fatto sta che non ho mai potuto partecipare a un programma appaltato alla società di produzione di Stefania Craxi. Anzi no: una volta ho partecipato alla Macchina della verità. E m'hanno pure imbrogliato, perché Giancarlo Santalmassi m'ha fatto passare per una che mentiva». Adesso tocca affrontare l'argomento tabù: le cose non saranno forse più crudeli ma più semplici, che insomma a un certo punto il personaggio Rita Pavone non abbia tirato più tanto? Tuoni e fulmini. Teddy Reno va a prendere da uno scaffale la prova provata che una simile obiezione è solo una sciocchezza: «Guardi qui. Rita all'Olimpya, Rita a New York, in Spagna, in Brasile, in Grecia, in Germania. Solo in Italia c'è stato il black-out. Solo in Italia si sta a galla per appoggi politici. Solo in Italia le sorelle Carlucci possono fare il bello e il cattivo tempo. Solo in Italia Pippo Baudo, pilastro del regime, può recitare la sua bella parte di rinnovatore nella Rai dei professori. Nossignore, la Prima Repubblica ancora sopravvive». Negli ultimi anni, però, non c'è stata solo la Rai. Berlusconi l'ha mai chiamata, signora Pavone? «E perché, forse che Berlusconi non aveva rapporti con Craxi? E poi magari Berlusconi non sa nemmeno che i suoi collaboratori mi condannano all'ostracismo. Come Gigi Vesigna, per esempio». Vesigna? «Sì, proprio lui. Quando era redattore di Sorrisi e canzoni era sempre lì che scodinzolava. Da quando è diventato direttore, fine della trasmissione. Una volta mi ha fatto fare pure tre ore di anticamera. Ma chi si crede d'essere, Vesigna, Hiilary Clinton?». Il complotto, insomma. E i motivi? «Sono vent'anni che mi chiedo quali siano». Altri della sua generazione, e per giunta non ammanicati, non sono stati «oscurati». Per esempio Gianni Morandi: «Con tutto l'affetto, anche Gianni ha avuto qualche appoggio: dai comunisti». Non si salva nessuno. Ma Pel di Carota ha fretta. C'è la storia della «ragazza perbene» che l'aspetta e lei frigge per tornare al computer. C'è da fare i bagagli per l'inferno della Bosnia. Buona Seconda Repubblica, signora Pavone. Pierluigi Battista «Senza l'aiuto della de o del psi mi hanno esclusa da Sanremo e la Rai mi ha cancellata» Da sinistra, Rita Pavone con Teddy Reno Pippo Baudo, Gigi Vesigna e Fanfani «Nel '63 Togliatti (foto) volle conoscermi, era un mio fan»